I giorni che possono cambiare la geopolitica del mondo si aprono con due governi nuovi di zecca in Italia e in Spagna. E le relative incognite e prospettive sul piano internazionale: i due principali azionisti dell'esecutivo appena insediato a Roma, Movimento cinque stelle e Lega, che chiedono nero su bianco, come da contratto «un'apertura alla Russia», il «ritiro delle sanzioni economiche» e la riabilitazione di Mosca «come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)». Dall'Italia alla Spagna: a Madrid giura il neo-premier Pedro Sánchez, che dovrà gestire il delicato dossier Catalogna e rischia di regalare nuovi mal di testa a Bruxelles, mettendosi al timone di un esecutivo di minoranza senza alcuna precedente esperienza di governo (come d'altra parte il premier Giuseppe Conte) e dopo aver traghettato i socialisti verso due sconfitte elettorali consecutive. Poi c'è la grana peggiore, la guerra dei dazi su acciaio e alluminio che l'America ha dichiarato a Cina, Ue, Canada e Messico (pronti a ritorsioni, oltre al ricorso già finito sul tavolo del Wto). Il «gioco pericoloso», come lo chiama la Commissaria europea per il Commercio, Cecilia Malmstroem, precisando di non voler usare il termine «guerra commerciale», danneggerà, nell'ordine, Germania (che domina l'export di prodotti finiti), Olanda, Francia e quinta Italia e sta improvvisamente riavvicinando vecchi nemici come Pechino e New Delhi, nonostante gli sforzi americani degli ultimi anni di trasformare l'India in un alleato contro la Cina. Nel frattempo il Messico cerca alleati in America Latina. E la Gran Bretagna, in pieno caos Brexit, deve amaramente constatare come la strada verso accordi bilaterali con gli Stati Uniti si faccia sempre più impervia di fronte al neo-protezionismo di Trump.
Infine l'eterna questione mediorientale, riaperta da Trump con lo spostamento dell'ambasciata a Gerusalemme ed esacerbata in queste ore dal veto di Washington a una risoluzione Onu (votata da Cina, Francia e Russia) che chiedeva la protezione dei palestinesi a Gaza. E ancora di più il braccio di ferro sulla bomba atomica. Da una parte la trattativa con la Corea del Nord, che il 12 giugno potrebbe portare allo storico incontro fra Trump e Kim Jong-un e a una prospettiva di denuclearizzazione completa. Dall'altra l'accordo con l'Iran a rischio flop, nonostante il forte sostegno dei Paesi europei, che lo difendono ancora anche per ovvi interessi economici e strategici mentre gli Stati Uniti si sono defilati e promettono di imporre nuove pesanti sanzioni con inevitabili ripercussioni sul fronte europeo.
Un week end da urlo per la quantità di grattacapi e incognite che si accumulano sui tavoli delle cancellerie d'Europa e del resto del mondo. Non a caso il direttore del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, riferendosi ai dazi commerciali imposti dall'America, ha ricordato i rischi di «un debito colossale globale, più pesante che mai» e soprattutto quelli di «natura geopolitica e politica, che portano a grandi incertezze e instabilità». A cominciare dagli equilibri interni, già traballanti, dell'Ue, che nonostante gli onori ricevuti dal presidente francese Emmanuel Macron negli Usa, non è riuscita a strappare, per ora, nessuna esenzione sui dazi e rischia fortemente di vedere la francese Total in fuga dall'Iran, a favore della Cina. Non solo. Con Cinque Stelle e Lega al governo in Italia, Bruxelles assiste impotente a un rafforzamento del fronte Visegrad, quello dei Paesi più duri sul tema dell'accoglienza ai migranti e delle ripartizioni delle quote per i rifugiati (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia), destinato a condizionare le future politiche sull'immigrazione della Ue.
Le istituzioni europee rischiano così di diventare testimoni inermi di un avvicinamento italiano alla Russia considerato al tempo stesso pericoloso (specie dopo il caso dell'avvelenamento della spia russa a Londra e delle probabili interferenze di Mosca sulle elezioni europee tramite fake news e social network) ma anche utile, come nel caso del dossier iraniano, in cui Mosca è ormai il mediatore cruciale di un Iran che guarda alla Russia e alla Cina.
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