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Erdogan-Putin, l'incontro a Mosca e le mire segrete

Il nuovo asse vuol sottrarre agli Usa il controllo del Medioriente e mettere sotto scacco l'Ue

Erdogan-Putin, l'incontro a Mosca e le mire segrete

Il Sultano e lo Zar contro tutti. In un mondo normale sarebbe una fanta-notizia perché lo Zar Vladimir Putin rappresenterebbe il miglior alleato di Stati Uniti ed Europa contro quello Stato Islamico e quell'universo jihadista a cui il Sultano Erdogan tende ambiguamente la mano da anni. Ma il mondo ha smesso da tempo di essere un posto normale. E così due inveterati nemici - arrivati ad un passo dalla guerra dopo l'abbattimento a novembre di un aereo russo in Siria - non trovano di meglio che darsi appuntamento a Pietroburgo e stringersi la mano. Del resto in un mondo dove Europa e Stati Uniti hanno, per anni, appoggiato i ribelli jihadisti siriani ed hanno ritenuto più importante sostenere l'allontanamento di Kiev da Mosca che combattere l'Isis l'unica e ultima regola resta quella del vantaggio immediato. A quello guardano il Sultano e lo Zar tornati ieri a dirsi amici dopo una crisi durata nove mesi. Il presidente turco, sopravvissuto al colpo di stato, ha un disperato bisogno di chiudere un embargo di Mosca che, oltre ad avergli bloccato due miliardi di esportazioni, ha svuotato le spiagge turche meta preferita dei turisti russi. Anche Putin ha, però, di che guadagnarci. Il riabbraccio con il Sultano riapre le prospettive per la posa in Turchia di quel South Stream che gli permetterebbe di aggirare i divieti di Bruxelles, portare il suo gas al Mediterraneo e rivenderlo ad un'Europa affamata d'energia. Per non parlare del gas fornito da tempo alla stessa Turchia e del progetto per la consegna ad Ankara di una centrale nucleare «chiavi in mano» congelato dopo la crisi di novembre. Più ghiotta ancora è però l'opportunità geopolitica. Il riavvicinamento di Erdogan era già cominciato con la lettera di scuse per l'abbattimento dell'aereo russo spedita a Putin prima del tentato golpe del 15 luglio. Ma a far saltare definitivamente le regole del gioco è stato quel fatidico venerdì. Quella notte, mentre Usa ed Europa stanno al balcone, Putin fa chiamare Erdogan segnalandogli i movimenti delle forze golpiste registrati dai servizi segreti russi dispiegati nelle basi siriane a 30 chilometri dal confine turco. Ma Putin è anche l'unico leader pronto a chiamare Erdogan, mentre il «putsch» è ancora in svolgimento, per garantirli pieno appoggio. Lo Zar, maestro di scacchi capisce già quella notte, insomma, che l'Erdogan trattato con diffidenza da Nato ed Europa rappresenta un'opportunità strategica. E il Sultano, interessato più all'ordine interno che non ad un'ipocrita amicizia con Bruxelles e Washington è ben felice di stare al gioco. La spietata repressione, le purghe interne e gli oltre 28mila arresti delle ultime quattro settimane non tardano a trasformarlo in un reietto assimilabile - per gli standard di legittimità politica di Washington e Bruxelles - all'uomo forte del Cremlino. Peccato che in quell'abbraccio con un reietto della sua stessa risma Putin intravveda le premesse per sottrarre agli Stati Uniti il controllo del Medioriente, regalare a Erdogan il ruolo di potenza regionale e tenere per se quello di grande demiurgo degli equilibri mondiali. La casella fondamentale dello spregiudicato risiko è proprio quella Siria considerata fino ad oggi il pomo della discordia tra Russia e Turchia. Nell'ottica di un Putin abituato a guardare la scacchiera dal verso del nemico la Siria è, invece, il luogo dove una pace decisa da Mosca e Istanbul manterrebbe in sella Bashar Assad, garantirebbe alla Russia il mantenimento delle sue basi strategiche, metterebbe fuori gioco sauditi, Qatar ed alleati jihadisti e infliggerebbe un altro duro colpo alla credibilità di un America estromessa dagli accordi di pace. Alla Turchia resterebbe solo da risolvere l'imbarazzante problema di due milioni di profughi siriani, in gran parte simpatizzanti dei ribelli jihadisti, traditi e abbandonati al proprio destino nel nome dell'amicizia di Mosca. Ma a quel punto il problema potrebbe rivelarsi in gran parte europeo. Al Sultano basterebbe rinnegare l'accordo stretto con Bruxelles, riaprire le frontiere e sospingere tutti verso la rotta balcanica.

Oggi sembra fantapolitica, ma fino ad ieri lo era anche l'abbraccio di Pietroburgo.

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