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Erdogan, scomodo e necessario

Se la Cina è stata il convitato di pietra e il bersaglio delle accuse e delle lagnanze elencate al G7 in Gran Bretagna, la riunione al vertice della Nato ha dedicato una parte rilevante dei suoi lavori alla Turchia

Erdogan, scomodo e necessario

Se la Cina è stata il convitato di pietra e il bersaglio delle accuse e delle lagnanze elencate al G7 in Gran Bretagna, la riunione al vertice della Nato alla presenza del Commander in Chief americano Joe Biden e di tutti i principali leader europei ha dedicato una parte rilevante dei suoi lavori alla Turchia. Non che la Cina, definita nel comunicato finale «una minaccia costante alla sicurezza», non sia stata al centro dell'attenzione del superclub militare atlantico come mai in passato, ma la Turchia ha una particolarità unica: è un alleato al tempo stesso irrinunciabilmente strategico e crescentemente scomodo, per non dire ingestibile. Il suo presidente Recep Tayyip Erdogan ha dedicato negli ultimi anni più tempo a creare problemi all'Alleanza Atlantica e all'Europa che a lavorare per risolverli insieme. Basti pensare alla gestione provocatoria del flusso di migranti siriani, al mancato rispetto dei diritti umani in patria e delle leggi internazionali nel Mediterraneo nelle acque cipriote e greche, al ruolo aggressivo e spregiudicato assunto in Libia, all'ambiguo rapporto con la Russia da cui ha perfino acquistato un sistema missilistico in pieno spregio delle regole Nato. Molti di questi nodi sono venuti al pettine ieri a Bruxelles, in una serie di incontri che Erdogan ha avuto con i principali leader atlantici.

Spicca la differenza di toni nei differenti casi. Certamente teso il bilaterale con Emmanuel Macron, che ha avuto luogo a porte chiuse prima del vertice Nato. Il presidente francese ha molti dossier aperti con Ankara, non ultimo quello della gestione assai poco apprezzata della propaganda religiosa islamica in Europa da parte della Turchia: un tema che da anni è centrale per l'ordine pubblico e nel dibattito politico in Francia, dove le prossime presidenziali vedranno ancora come protagonista e rivale di Macron la leader della destra nazionalista Marine Le Pen, ostilissima all'islam. «Per andare avanti con chiarezza e rispetto», ha scritto in un tweet il leader dell'Eliseo che in passato aveva accusato Erdogan di non mantenere la parola data sulla Libia e di destabilizzare la Nato, è stato necessario «un chiarimento strategico tra alleati sui valori, i principii e le regole».

Il presidente americano, invece, ha messo l'accento sul successo che a suo avviso sono stati i novanta minuti del suo faccia a faccia con Erdogan. E in fondo non è una sorpresa, se si pensa che già prima di questo incontro era emersa chiaramente la volontà della Casa Bianca di evitare fratture con la Turchia, ma semmai di lavorare per ricucire e rilanciare sui punti di convergenza. Che sono poi, essenzialmente, la comune consapevolezza del ruolo strategico primario che Washington continua ad attribuire ad Ankara, e la conseguente scelta di cercare sempre dei compromessi con il capriccioso leader turco. Il quale ieri sapendo che sarebbe finito nel mirino di molti colleghi europei aveva giocato d'anticipo lamentandosi di non godere da parte loro della considerazione a suo avviso dovutagli per il ruolo svolto «in difesa dei confini orientali della Nato contro il terrorismo», ovvero nella guerra contro quei curdi che lui ha bombardato in Siria dopo aver lasciato che finissero di combattere lo «Stato islamico» dell'Isis.

Erdogan ha capito benissimo che Biden vuol tenerselo stretto, tanto che gli ha ben chiarito che sui missili russi continuerà fare quello che gli pare e che al tempo stesso pretende la fine del sostegno occidentale ai curdi dell'Ypg.

Agli europei toccherà sopportarlo.

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