Guerra in Ucraina

Gli errori dell'Ue e dell'Italia sull'energia: perché sono l'arma in più della Russia

Non saremmo dovuti arrivare a una guerra per comprendere che una grande nazione deve sviluppare in un settore strategico come l'energia una propria sovranità e non può dipendere per quasi il 50% da un solo fornitore

Gli errori dell'Ue e dell'Italia sull'energia: perché sono l'arma in più della Russia

Se l'Unione europea negli ultimi trent'anni avesse costruito una propria sovranità energetica, non sarebbe di certo bastato ad evitare la guerra ma avrebbe perlomeno svolto una funzione deterrente nei confronti della strategia russa.

La decisione di Putin di attaccare l'Ucraina nasce anche dalla consapevolezza che, a causa della dipendenza energetica dell'Europa occidentale dal gas russo, una forte reazione delle nazioni europee sarebbe stata più complicata. Non è un caso che, mentre molti paesi europei deliberavano l'invio di armi all'Ucraina, al tempo stesso aumentavano gli acquisti di gas dalla Russia da parte delle nazioni europee con un'evidente contraddizione.

La mancanza di un'indipendenza energetica europea è dovuta sia a motivazioni geografiche e territoriali sia a scelte politiche errate. Se sulle prime non possiamo farci nulla, nel caso delle decisioni assunte negli ultimi anni in materia energetica, i governi europei (e italiani) hanno serie responsabilità.

Ci troviamo ad affrontare una guerra con una dipendenza energetica dei paesi dell'Ue che, secondo i dati Eurostat, “ha superato il 60% nel 2019 per import” e, in questo contesto, l'Italia (e la Germania) sono le più esposte. Il caso tedesco è forse più grave rispetto a quello italiano perché impatta maggiormente sul mercato europeo (la scelta di dismettere tutte le centrali nucleari nel 2022 è emblematica) ma gli errori compiuti dal nostro paese non sono da meno. Proviamo a sintetizzarli.

Anzitutto la scelta di rinunciare all'energia nucleare con i referendum del 1987 e del 2011 realizzati sull'onda emotiva di due tragedie (Chernobyl e Fukushima) che hanno influenzato il voto popolare e condannato prima alla chiusura delle centrali nucleari attive poi a fermare l'ipotesi di riprendere il programma nucleare.

In secondo luogo la scelta di diminuire le estrazioni di gas italiano: se è vero che la trivellazione nell'Adriatico e nei mari italiani ha costi maggiori, è altresì vero che ricopre un'importanza strategica per garantire una sussistenza imprescindibile in casi di crisi.

Questa decisione nasce da un approccio purtroppo molto diffuso nel nostro paese di contrarietà a ogni genere di infrastruttura che influenza la politica, è il no a tutto che ci ha portato a sospendere nuove trivellazioni e che avrebbe voluto bloccare la costruzione del Tap. Così ci troviamo con soli due rigassificatori (necessari per convertire il gas liquido) in tutto il territorio nazionale.

Ciò ha portato a un'eccessiva dipendenza dal gas russo con la conseguenza che dipendiamo dalla Russia per gran parte del nostro fabbisogno energetico come ha ricordato Mario Draghi “il 45 per cento del gas che l'Italia importa proviene dalla Russia, in aumento dal 27 per cento di dieci anni fa”. In quest'ottica va letta la contrarietà tedesca (e quella iniziale dell'Italia) dell'esclusione russa dal circuito swift che comporterebbe gravi problemi nel pagamento del gas.

La nostra dipendenza energetica dall'estero, invece di migliorare, è andata peggiorando negli ultimi anni a causa della transizione ecologica che ci ha portato a chiudere centrali a carbone e fonti energetiche ritenute inquinanti, puntando tutto sulle rinnovabili e non garantendo il necessario mix energetico.

Non saremmo dovuti arrivare a una guerra per comprendere un fatto tanto semplice quanto evidentemente non scontato: una grande nazione deve sviluppare in un settore strategico come l'energia una propria sovranità e non può permettersi di dipendere con percentuali così alte da un solo fornitore. Diventa perciò prioritario diversificare la nostra politica energetica a partire dalla necessità di puntare alla costruzione dell'Eastmed, il gasdotto di circa 1.

900 chilometri che dovrebbe collegare i giacimenti ricchissimi di gas nel mare di Israele, di Cipro e di Creta con l’Europa e il sud Italia.

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