Milano Il probabile salvataggio del Monte Paschi per mano dello Stato, indipendentemente dal percorso tecnico prescelto e dal contenuto del decreto legge in via di ultimazione, rappresenta il culmine del «disastro bancario» dispiegatosi nell'ultimo anno del governo Renzi (ora dimissionario). Il sistema finanziario italiano ha prima aperto il portafoglio per salvare Banca Etruria&C. «immolando» i risparmi dei 12.459 obbligazionisti subordinati, poi ha pompato 4,2 miliardi nei «muscoli» del Fondo Atlante per liberarsi di 80 miliardi di crediti in sofferenza ed evitare il bail-in di Veneto Banca e Popolare Vicenza, ma non è stato sufficiente.
A dimostrarlo è non solo Piazza Affari, dove il sotto-indice delle banche cede da gennaio quasi il triplo (-41%) rispetto all'intero listino (-15%) ma il fatto che i problemi sul tavolo sono rimasti (quasi) gli stessi.
Tanto che, a meno che oggi il cda di Mps trovi il modo per procedere con l'aumento a braccetto con gli emiri del Qatar, il decreto in arrivo dovrebbe spingersi oltre la malata senese. Dopo 365 giorni la vendita di Etruria, Banca Marche e CariChieti a Ubi Banca e quella di CariFerrara non ha infatti ancora l'avallo della Bce e, quando si materializzerà, comporterà un «buco» di altri 2 miliardi per il settore (l'intero valore di carico delle 4 good bank sul bilancio di Atlante). Un problema per un'industria del credito che avrà sborsato quasi 9 miliardi per tamponare le falle e che attende una norma per spalmare le perdite. Non va meglio a Nord est, dove Veneto Banca e Popolare Vicenza, destinate a fondersi, avrebbero bisogno di altri 2 miliardi.
Per non parlare della riforma delle banche popolari, cui Renzi ha imposto di diventare spa a inizio 2015. Non solo è di fatto fallito l'obiettivo dichiarato dal premier di ottenere il consolidamento del settore - a due anni di distanza l'unica fusione approvata è quella tra Banco Popolare e Popolare di Milano (peraltro costata un miliardo ai soci del gruppo veronese) - ma sull'intero impianto delle legge pende il dubbio che violi la Costituzione. Il Consiglio di Stato ha infatti già rimesso alla Suprema Corte la circolare di Bankitalia che consente di limitare (fino ad annullarlo) il diritto di recesso dei soci dissenzienti: una mina inesplosa sia per i gruppi che hanno già tenuto l'assemblea per il salto verso la spa (ad esempio Banco e Bpm hanno richieste per 200 milioni), sia per le due cooperative (Sondrio e Bari) che devono ancora farlo. Non solo il Consiglio di Stato dovrebbe presto sollevare dubbi su altre parti della riforma. Da qui l'urgenza di una mossa del governo che ridia serenità agli investitori.
Anche perché martedì è un giorno cruciale: Unicredit, la prima banca del Paese insieme a Intesa Sanpaolo, presenterà il piano
industriale a Londra con annesso aumento di capitale. Unicredit, che ha già fatto cassa con le cessioni, ha le forze per fare tutto da sola. Ma a questo punto è tutta l'Italia a giocarsi la faccia allo «sportello» della Bce.
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