La complicata partita per l'assegnazione delle principali cariche di Bruxelles dopo le elezioni europee del 26 maggio entra nel vivo. In gioco c'è soprattutto la formazione della prossima Commissione Europea, il «governo» dell'Unione. Questa settimana si terranno una serie di riunioni decisive sia a livello di partiti che di governi, mentre la sorte di alcuni candidati eccellenti appare già segnata, in un gioco di scambi obbligati e di equilibri politici resi più complessi dalla relativa sconfitta elettorale patita dai popolari e dai socialdemocratici quindici giorni fa. In seguito, altre riunioni saranno certamente necessarie.
Da oggi a San Sebastiàn, in Spagna, discuteranno i vertici del partito popolare europeo (Ppe), costretto a prendere atto che il ridimensionamento della sua forza lo costringerà a rinunciare a parte del considerevole potere che aveva accumulato nella passata legislatura: sono sulla porta di uscita il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, quello del Consiglio Europeo Donald Tusk e quello dell'Europarlamento Antonio Tajani. Domani a Bruxelles cominceranno invece i negoziati tra i quattro gruppi parlamentari europei che dovrebbero formare la futura maggioranza in Commissione: popolari, socialdemocratici, liberali ed ecologisti-riformisti cercheranno una linea comune non così scontata su temi delicati come la difesa e la fiscalità, l'immigrazione e il commercio, senza dimenticare l'ambiente che potrebbe vedere i Verdi avanzare pretese radicali tali da rendere difficile un compromesso. In teoria l'apporto degli ecologisti non è determinante, ma lo sforzo è quello di coinvolgerli su una comune linea europeista, in contrapposizione alla sfida portata dal (pur frammentato) fronte sovranista.
Venerdì, infine, è in agenda a Malta una riunione a livello di governi nazionali riservata ai Paesi Ue del Mediterraneo. Nel piccolo Stato insulare saranno presenti, oltre al premier italiano Giuseppe Conte, il presidente francese Emmanuel Macron e il capo del governo spagnolo Pedro Sànchez: anche qui si discuterà di equilibri nella ripartizione delle future cariche europee, ma stavolta più a livello di Stati che di gruppi politici sovranazionali. Tornando a questi ultimi, le indiscrezioni che circolano a Bruxelles indicano che le ambizioni di alcuni personaggi politici sarebbero già state azzerate o fortemente ridimensionate. É il caso della liberale danese Margrethe Verstager, che dopo che il suo gruppo è diventato indispensabile per formare una maggioranza in Parlamento non aveva fatto mistero di puntare alla poltrona che il prossimo 31 ottobre verrà lasciata libera da Juncker: ebbene, risulta che siccome Macron capo di fatto dei liberali europei ha in mente altri obiettivi per il suo gruppo, la Verstager dovrà rassegnarsi. Alla presidenza della Commissione (in mano ai popolari da ben 15 anni consecutivi) ambirebbero ora i socialdemocratici, seconda forza politica in Europa. Venerdì scorso scrive il quotidiano spagnolo El Paìs una cena a Bruxelles tra i leader incaricati della selezione dei candidati avrebbe però stabilito, oltre alla rinuncia dei liberali alla principale carica europea la fine sostanziale delle speranze del francese Michel Barnier, vicino ai popolari: ragionano gli esperti che siccome traballano le speranze del candidato ufficiale dei popolari europei, il tedesco Manfred Weber che ha cercato invano di risollevarle cercando sostegno nei gruppi di destra, pare impossibile che Angela Merkel sostenga un francese dello stesso partito.
Quanto ai socialdemocratici, se vorranno succedere a Juncker con un loro esponente dovranno comunque rinunciare al loro Spitzenkandidat, l'olandese Frans Timmermans, e cercarsi una figura più indipendente: a ulteriore riprova che il sistema «democratico» di una sorta di primarie di partito a livello europeo per indicare il candidato alla presidenza della Commissione è fallito.
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