Non c'è stato nemmeno il tempo di «brindare» allo scongiurato spegnimento dell'altoforno 2 (Afo 2), che su Taranto sono tornate ad addensarsi nubi nerissime: barricate sindacali, rischi politici e giudiziari. Un quadro che dipinge l'immobilismo in cui versa, in realtà, la trattativa per salvare l'ex Ilva di Taranto e la siderurgia italiana. Certo, il mancato spegnimento dell'Afo 2 aiuta, ma non è una condizione sufficiente. «La storia recente dell'Ilva insegna - spiega una fonte - che i problemi che hanno trascinato per mesi la trattativa con Arcelor Mittal, causandone poi la tentata fuga, complice la bagarre sullo scudo penale, non sono risolti». Anzi, a venti giorni dalla deadline fissata per risolvere il dossier, sono riesplosi con prepotenza: le richieste sindacali, così come il protagonismo del governatore Pd Michele Emiliano, anche in contrasto con il governo del medesimo colore politico, sono tutti fattori che il governo sta ignorando, rischiando di trascinare la trattativa ben oltre il 31 gennaio.
Ma non solo. Sulla vicenda grava il rischio di nuove accuse ambientali (cittadini e associazioni ieri hanno manifestato a Taranto contro il via libera all'Afo 2) e i numeri dimostrano un sostanziale immobilismo industriale e strategico: l'azienda perde 2 milioni al giorno, la produzione è calata a poco più di 4 milioni di tonnellate e per la riconversione green (partendo oggi) ci vorranno almeno 4 anni. Insomma, il fattore tempo è fondamentale, ma i nodi sono tutti fermi sul tavolo del governo.
Partiamo dalla mina sindacale: in pentola bollono 2-3mila esuberi, ma il premier Conte e il ministro dello Sviluppo Patuanelli non sanno come dirlo ai sindacati che non sono stati ancora convocati. Di ieri, poi, la notizia che ArcelorMittal ha cancellato il contratto integrativo aziendale per i dipendenti del sito di Genova. Risultato? I sindacati genovesi hanno proclamato immediatamente lo stato di agitazione. «Come diceva Sandro Pertini - attacca il segretario della Fiom, Bruno Manganaro - a un brigante rispondiamo con un brigante e mezzo: o il governo interviene o a Genova si torna in piazza a lottare e ci si torna pesantemente, perché sappiamo come fare». A partire dal primo gennaio, dagli stipendi è stata cancellata una lunga serie di voci che possono arrivare a valere fino 400 euro. «Con l'azienda ci eravamo impegnati a ridiscutere tutto entro la fine dell'anno, poi più nulla», ha spiegato.
Oltre allo scoglio sindacale è riesploso anche il nodo politico: a fine gennaio si vota in Emilia e la tenuta del governo è a rischio. E se anche l'esecutivo resistesse allo scossone, e non vi fossero elezioni anticipate, il Pd e l'Ilva devono affrontare la mina Emiliano. Come fu nella lunga trattativa che portò al contratto con Arcelor Mittal, il governatore è tornato a dettare legge. «La discussione tra governo e Mittal deve consentire alla Regione Puglia, che ha avuto ragione, di svolgere il proprio ruolo a tutela della salute e dell'ambiente. Il presidente del Consiglio, nella sua saggezza, troverà la maniera di farci partecipare alla definizione del nuovo accordo», ha velatamente minacciato il governatore.
Un quadro allarmante a cui il governo sta rispondendo per ora con il silenzio.
Sotto traccia si stanno svolgendo incontri sul dossier Ilva con le diverse parti interessate, ma il confronto vero e proprio (esuberi, ammortizzatori, partecipazione privata e statale, ruolo di Arcelor Mittal e piano industriale) stenta a decollare.
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