Governo del cambiamento 2, la vendetta. Ricordate il mitico streaming con cui Pier Luigi Bersani voleva convincere i grillini a dargli una mano a fare il premier, e che finì a pesci in faccia?
L'ex segretario del Pd, poi candidato premier sconfitto, poi scissionista fondatore di Mdp vuole riprovarci. Stavolta come portatore di voti ad un governo dei Cinque Stelle, ammesso che alle prossime elezioni il partito della Casaleggio si piazzi bene (e che Mdp entri in Parlamento).
Il 3 novembre scorso Bersani è stato intercettato dalle telecamere mentre stringeva la mano - tra grandi sorrisi e pacche sulle spalle - al ridanciano Alessandro Di Battista, che barcollava a bordo di una bicicletta per le vie di Palermo. Bersani era lì per portare il suo contributo a Claudio Fava (che non a caso ha preso meno voti della volta scorsa), Dibba era lì per il suo candidato e ha invitato Bersani a «fare il voto disgiunto» a favore dei grillini. Sembrava un incontro casuale, ora si capisce che dietro c'è un astuto piano politico. Venuto allo scoperto con l'annuncio che a Ostia, nel ballottaggio tra centrodestra e Cinque Stelle, Mdp appoggerà questi ultimi. Difficile che i suoi voti (se ci sono) possano fare la differenza, ma il segnale politico conta. Un altro arriverà dal voto dei grillini alla mozione Mdp che chiede di abolire il Jobs Act e reintrodurre l'articolo 18.
Del resto Bersani lo teorizza da tempo: il movimento di Grillo, ha sostenuto, è una «forza di centro». E Mdp medita di offrirsi come gamba di sinistra, se un giorno dovesse servire. Il disinvolto candidato premier Luigi Di Maio è interessato a tutto ciò può portarlo a Palazzo Chigi: «Se siamo il primo partito, i voti per fare un governo li troveremo in Parlamento», ripete ai suoi. E quelli della sinistra vanno bene quanto quelli della Lega. Ma siccome sarebbe imbarazzante farsi vedere sottobraccio a Bersani e D'Alema, ecco la necessità di far scendere in campo uno come Pietro Grasso. Che, sussurrano i suoi supporter, sarebbe un domani ottimo candidato per il Colle, coi voti grillini. Da alcuni giorni gli uomini di Di Maio fanno trapelare elogi su Grasso: «Profilo interessante, ottima persona, potremmo ragionare insieme». Il presidente del Senato, a differenza della Boldrini, non si è mai inimicato troppo i grillini. Del resto, il suo beau geste di lasciare il gruppo Pd contro la «violenza» della fiducia sul Rosatellum gli ha guadagnato benemerenze da quelle parti: «Un fatto clamoroso», si entusiasmò Di Battista. Grasso, che ieri ha ironizzato proprio su quell'episodio («non so se sono uscito io dal Pd o non c'è più il Pd») ed uscito allo scoperto («forse farò politica»), lavora alacremente alla costruzione di un movimento che metta insieme Mdp e altri pezzi sparsi della sinistra del No al referendum (non a caso Gustavo Zagrebelsky gli dà una mano). Con un primo obiettivo: isolare il Pd e fargli perdere la maggior parte dei collegi uninominali, favorendo i Cinque Stelle. Il no all'alleanza col Pd è scontato: «Inutile parlare con Renzi, che non ha avuto il coraggio di ammettere che Bersani aveva ragione e che c'era la mucca in corridoio», tuona la bersaniana Elisa Simoni.
Per questo si stanno tentando approcci non solo con Pisapia o Emma Bonino, ma anche con esponenti Pd come Gianni Cuperlo o Michele Emiliano.
Dal quale qualche segnale arriva: «Bisogna riconoscere le ragioni di chi se ne è andato», dice, aggiungendo che il candidato premier del centrosinistra «può non essere del Pd». Una strizzatina d'occhio a Grasso che però, dicono i ben informati, serve al governatore pugliese, uomo concreto, ad alzare il prezzo con Renzi per ottenere più posti in lista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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