Fanatismo, sharia e impiccagioni. Perché l'Iran è un nostro nemico

Dalla "rivoluzione" khomeinista del '79 è diventato una minaccia per tutto l'Occidente. Le donne sottomesse e gli oppositori uccisi

Fanatismo, sharia e impiccagioni. Perché l'Iran è un nostro nemico

Nel febbraio 1979 l'Unità, quotidiano ufficiale del partito comunista italiano guidato da un Enrico Berlinguer oggi di fatto beatificato, prese una delle sue tante cantonate: scambiò la imminente vittoria dei rivoltosi khomeinisti sul regime monarchico di Teheran con un trionfo dei poveri sui ricchi. Non vide, e con essa il solito stuolo di presuntuose anime belle «de sinistra», l'evidente germe di una dittatura fondata su un retrogrado fanatismo religioso, ma volle credere che la svolta in Iran fosse «una travolgente vittoria popolare» che apriva la strada come da titolo di un editoriale che oggi fa cadere le braccia a «una via inesplorata delle rivoluzioni» nel resto del mondo.

Quarantasei anni di dittatura islamica sciita si sono incaricati di smentire queste ridicole illusioni, ma ancora oggi in Occidente c'è chi blatera soprattutto nelle università e nei quartieri benestanti delle grandi città - di islamo-gauchismo come di un'alternativa rivoluzionaria al maledetto capitalismo. Ma qui non ci perderemo in polemiche contro i Foucault di ieri e i Mélenchon di oggi, solo per citare due nomi. Vogliamo invece ricordare cosa sia stata realmente la Repubblica islamica dell'Iran a partire da quel fatale 1979 e spiegare perché, oggi più che mai, essa rappresenti una minaccia esistenziale non solo per Israele, ma per l'Occidente intero.

Certamente lo Shah Reza Pahlevi, amico degli americani fautore di una relativa occidentalizzazione dei costumi in Iran, non era un esempio di democraticità. La sua polizia, il Sadek, perseguitava gli oppositori e maltrattava i mullah, i preti sciiti in cui lo Shah vedeva un simbolo di arretratezza. E non esitava a sparare sulla folla in caso di proteste di piazza, di solito aizzate da quegli stessi mullah. Ma quando l'ayatollah Khomeini prese il potere a Teheran arrivando direttamente in aereo da Parigi dove era vissuto in dorato esilio, le sciocche illusioni sull'inizio di un'era di nuova libertà per gli iraniani si sciolsero come neve al sole.

Dapprima la folla esultò per le uccisioni sommarie degli aguzzini del deposto regime, ma i nuovi padroni dell'Iran instaurarono una loro legge ben più spietata, quella islamica della Sharia. Frustate in pubblico alle donne che vestivano all'occidentale, massacri di oppositori nemici di Dio e di omosessuali, repressione spietata di studenti e intellettuali. E da subito, il nuovo regime guidato da quel vecchio barbuto col turbante nero sempre in posa ieratica impose le sue terribili parole d'ordine in politica estera: morte a Israele e morte all'America, ribattezzati il Piccolo Satana e il Grande Satana.

Già in quel 1979 che vide l'esordio della Repubblica Islamica dell'Iran, Khomeini mostrò al mondo in che cosa stava trasformando il Paese che fino a pochi mesi prima era stato una pietra angolare del sistema di alleanze americane in Medio Oriente. Lo fece ordinando il sequestro di oltre 50 membri del personale dell'ambasciata Usa a Teheran, gesto scioccante che di fatto costò la rielezione al presidente Jimmy Carter: la prigionia durò 15 mesi e terminò solo per le aperte minacce a Khomeini del successore di Carter, l'assai più risoluto Ronald Reagan. Contemporaneamente, veniva creato un sistema di esportazione della rivoluzione in giro per il Medio Oriente, che continua a tutt'oggi con il finanziamento e l'armamento di milizie sciite fanaticamente nemiche dei Satana piccoli e grandi: da Hezbollah in Libano a Hamas nei territori palestinesi, dagli Houthi in Yemen ai gruppi armati iracheni.

Intanto, l'Iran si era mutato in una teocrazia sciita. Il che significa un dramma per il popolo iraniano come per la pace nel mondo. All'interno, questo potere assoluto ha azzerato le libertà civili e politiche, concedendo strapotere a una polizia religiosa che scorrazza armata nelle città e impone con la violenza il rispetto di regole restrittive soprattutto alle donne, il cui primo dovere è «manifestare modestia». Abbiamo assistito per decenni all'uso di una brutalità spaventosa, dall'invio di stuoli di ragazzini con al collo le «chiavi del Paradiso» sui campi minati del nemico iracheno per aprire la strada alla fanteria, ai pestaggi in strada e agli spari dei cecchini che miravano agli occhi delle donne che rifiutavano il velo islamico; alle stragi di giovani manifestanti che chiedevano l'uscita dal medioevo; all'impiccagione pubblica a gru altissime, per meglio impressionare e terrorizzare, di oppositori politici e criminali veri o presunti; abbiamo saputo dell'uso sistematico di stupri e torture infami nel terribile carcere di Evin a Teheran.

Sul piano politico è stato instaurato a Teheran una sorta di papato della branca più fanatica dell'islam, cui veniva e viene attribuito il vero potere in pace e in guerra quest'ultima vissuta come uno stato perenne nei confronti di quel mondo infedele, ebraico o cristiano che sia, il cui destino dev'essere la sottomissione alla legge islamica. Come ben ricordava il grande studioso Bernard Lewis, tre sono le fasi di questa marcia verso l'islamizzazione del mondo che l'Iran si è prefissato come obiettivo storico: la cacciata degli infedeli dalle terre dell'islam, la riconquista di quelle perdute e infine la conquista del mondo intero.

Questo, da troppi stoltamente frainteso come balorda propaganda religiosa, è il vero obiettivo della Repubblica Islamica. Ed è per questo che va in ogni modo impedito che quel regime brutale si doti di armi atomiche: a differenza di ogni altro Paese al mondo, anche delle peggiori dittature, le userebbe non per difendersi, ma per devastare.

Non solo Israele, ma tutti noi «infedeli» ci troveremmo nel mirino di forsennati che ritengono la loro stessa morte violenta, come la nostra, un glorioso passaggio per trasformare il mondo a loro immagine e somiglianza.

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