G uai agli apprendisti stregoni, guai all'improvvisato Topolino che ha suscitato, animato anzi in definitiva aizzato gli spiritelli assetati di populismo. E tutto per un capriccio referendario, un sortilegio il cui senso è racchiuso nella sete di potere d'un mago, Matteo Renzi, che mago non è.
Eccoci così agli antipodi della fasulla narrazione renziana, al suo legittimo ribaltamento in grandiosa messinscena grillina. Lo Stregone genovese cala con la forza di quarant'anni di teatro e di pozioni comiche. Alta professionalità al servizio delle telecamere e della campagna referendaria; rappresentazione il cui succo sta nello striscione esposto dai Cinque Stelle in piazza Montecitorio a fine giornata: «Tagliatevi lo stipendio, la vera riforma è questa». E chi potrebbe negare che l'enfasi populistica non rappresenti buona fetta della realtà? Che di fronte alla sbandierata (e farlocca) abolizione del Senato, per risparmiare basterebbe ridurre un po' l'appetito dei parlamentari? I quali - con buona pace dei solerti funzionari della Camera, anche ieri schierati nella peccaminosa difesa dell'indifendibile - sono tra i più retribuiti al mondo. Chi semina vento raccoglie tempesta, e così sia.
La sceneggiatura prevede tre atti: il primo, via web e poi all'uscita di Beppe Grillo dall'hotel Forum. Messaggi ironici e beffardi, declamati alla grande. «Oggi è il pace-e-bene-day, un atto bellissimo di buona volontà, un segnale di cui l'Italia ha bisogno, anche la Chiesa è contenta, pensate al Papa come sarà contento... Li vorrei abbracciare uno a uno, sono sicuro che diranno tutti sì, anche il Pd, non credo neanche se li vedo che non la voteranno... Li toccherò, li abbraccerò, li ringrazierò. Non parlate di tagli, tagliare è una brutta parola, una parola violenta». Un'anziana in lacrime gli chiede aiuto mentre è già nel taxi, il cacio sui maccheroni: «Questa è la realtà del Paese...», sospira. Arrivato a Montecitorio, prende posto in tribuna d'onore: «Li guardo da qui, con affetto». Nel frattempo, qualche tweet ricorda a Renzi di «non nasconderti, vieni a far dire di sì al Pd».
Sipario sul secondo atto. In aula è il Pd, del tutto incapace di riprendersi dalla botta, a chiedere l'inversione dell'ordine del giorno (per accelerare i tempi e ridurre lo spazio nei Tg della sera alla bagarre). Il Pd propone anche il ritorno della pdl in commissione, sperando di toglierla dall'agenda (almeno) fino al 4 dicembre. «Non ha senso votare ora, prima del referendum», argomenta Dellai. Il capogruppo Rosato sostiene che i grillini prendano gli stessi soldi dei pidini, «dove li conservate non lo sappiamo». Poi attacca l'ospite: «Noi abbiamo adattato la nostra agenda a Grillo. Ma vada anche al Campidoglio a parlare di consulenze e costi inutili». L'ospite urla un ironico bravo!. Il voto, come sempre alla Camera, è una formalità: il dimezzamento degli stipendi ai parlamentari torna in commissione. Lì dov'è destinato a vita di stenti e morte certa.
Terzo atto. Grillo ha già cominciato a diffondere i tweet già pronti: «Il Pd ha votato contro, ha tradito il mandato degli elettori, da pace-e-bene a pace e rumina: si sono autonominati vacche sacre intoccabili, hanno inglobato la nostra proposta e ora la rumineranno tra di loro nei recinti, nelle loro case-stalle». Qualche centinaio di attivisti grillini ha raggiunto Montecitorio e s'incontra con i parlamentari M5S. Urlano: «Tagliatevi lo stipendio, Renzi sei come Hitler, come Ceausescu! Vergogna». I deputati mettono il sale sulle ferite popolari. «Da Renzi chiacchiere e barzellette, è una porcata, un calcio in faccia ai cittadini».
Di Battista il più scatenato: «Questa è gentaglia senza dignità, serve una mobilitazione popolare». E poi: «Renzi mi sta sui coglioni, sta sui coglioni a tutti, anche a se stesso». Ma questa, tra tutte le baggianate sentite, è di gran lunga l'unica inverosimile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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