Simone Scuffet di anni diciotto è il portiere dell'Udinese calcio e della nazionale italiana Under 17. Scuffet è un professionista del football e per questo guadagna trecentomila euro all'anno che per un frut friulano sono una montagna di denari che fanno felice lui, sua madre Donatella e suo padre Fabrizio, assistente Ata che vuol dire bidello scolastico. La scuola, appunto. Simone Scuffet è uno studente dello Zanon Deganutti, penultimo banco a destra, l'aula è impersonale ma sul muro, sopra la cattedra c'è una scritta in bianco e nero «VINCERE orgoglio friulano». Al Deganutti si studiano diritto ed economia, il Simone è il più alto della classe, un metro e novanta centimetri e porta a casa voti alti, come gli accade giocando a pallone con l'Udine, così chiamano i tifosi la squadra bianconera per il resto d'Italia detta Udinese.
La notizia, in verità, è un'altra. Simone Scuffet aveva la valigia pronta, l'Atletico di Madrid, campione di Spagna, aveva offerto otto milioni di euro al club friulano e novecentomila euro al ragazzo da moltiplicare per anni cinque. Un sogno, traslocare da Remanzacco, seimila abitanti, profumi di vini grandiosi e di prosciutti, alla capitale di Spagna, per giocare la Liga e la Champions league, roba da favola. Tutto pronto, tutto definito, mancava soltanto la firma sotto il contratto, l'Udinese avrebbe incassato altri 7 milioni il giorno in cui la società dei materassai (colchoneros, per la divisa bianca e rossa a strisce verticali, come le stoffe dei materassi antichi), l'Atletico, dunque, avesse deciso di vendere Scuffet a un altro club. Ma la favola è finita. Parola di Fabrizio, bidello e padre: «Simone non parte, non si muove, prima finisce gli studi e poi, eventualmente si può pensare a trattative. Remanzacco è la sua casa, Udine il suo luogo di studio e di lavoro, il resto non interessa, per il momento».
Belle parole, ecco il calcio umano, ecco una lezione di vita, il vecio Friul ci restituisce un po' di normalità in questo mondo di tatuati e figurine di cartapesta.
In verità Simone Scuffet ha deciso di fare il calciatore, scegliendo il ruolo di portiere in omaggio al padre Fabrizio che così si esibiva quando Simone era un frut, un bambino, e nell'incantesimo di Dino Zoff un altro eroe della scuola calcistica furlana, come il Buffon di antiche origini. Dunque come professionista e non dilettante amatoriale, Scuffet sa benissimo che esistono dei diritti e dei doveri. La vita è bella con un pallone tra i piedi o tra le mani ma quando incominciano a girare i soldi allora molto, non tutto, cambia. Fabrizio, il padre, fa benissimo a tutelare il patrimonio di famiglia, prima la scuola e poi il pallone ma delle due l'una: o Simone sceglie Udine e rinuncia anche alle trasferte di coppa, di campionato, ai ritiri e a tutto il repertorio pallonaro oppure ne deve accettare sacrifici e privilegi e, nel caso suo, i momenti di gloria, differenti da quelli di boria che riguardano molti sodali di Simone. La bella fiaba del ragazzo di paese che va a scuola e poi si allena anche di notte dura il tempo delle mele. Poi arrivano i giorni delle decisioni. In Spagna vive la famiglia di Lionel Messi. L'argentino sbarcò a Barcellona all'età di tredici anni, non era uno studente modello ma il club catalano convinse tutta la Messi United, genitori e affini, che la vita sarebbe cambiata in modo rivoluzionario, garantirono un posto di lavoro al padre e al resto del parentado. Tralascio i dettagli sul conto corrente da allora a oggi.
Non dico che Fabrizio Scuffet debba trasferire spontaneamente lavagne, gessi, penne e registri dal Friuli alla Spagna per seguire l'erede ma all'Atletico di Madrid potrebbe anche venire l'idea bella di prendere due piccioni con una fava: Simone e tutta la sua famiglia.
Per il momento niente Spagna, niente jamon iberico e crema catalana, si va ancora di sauris e gubana. C'è di peggio nella vita. Mandi, Simone.
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