Mercoledì 2 novembre 2016 a Milano, fra i commensali vip della cena organizzata in onore dell'allora premier Matteo Renzi dal finanziere Francesco Micheli nella sua casa dietro al parco Sempione era seduto anche Miro Fiordi. Il presidente del Credito Valtellinese (nonchè numero uno della Fondazione di riferimento), storico istituto lombardo trasformato in spa il mese prima. Tanto che la presenza del banchiere aveva offerto spunti per un gossip su manovre incrociate per trovare nuovi investitori interessati a entrare nel capitale della diciottesima banca italiana per attivi. Del resto con l'addio al meccanismo «una testa, un voto» tipico delle Popolari, Creval è diventata la più pura tra le public company della Borsa italiana, con qualche decina di migliaia di piccoli azionisti.
A guidare la trasformazione in spa di quello che per anni è stato considerato un piccolo feudo di Comunione e Liberazione è stato Fiordi, ex direttore generale (dal maggio 2003 all'aprile 2010) ed ex amministratore delegato (fino all'aprile 2016) che ha ricevuto il testimone dallo storico presidente dell'istituto Giovanni De Censi. A Sondrio dicono che punta a diventare il prossimo presidente dell'Abi quando scadrà il mandato di Antonio Patuelli, nel 2018. Ma lui smentisce.
Ha tentato di trattare con i dirimpettai della Popolare di Sondrio, che però hanno preferito puntare sulla Cassa di Cento, e con Bper ma non se ne è fatto nulla. Si è difeso dagli attacchi ricevuti da alcuni soci che hanno puntato il dito sui finanziamenti a persone e società legate a figure di vertice dell'istituto («la si smetta con il fango» ha tuonato nell'assemblea dello scorso aprile). Posizione ribadita anche ieri: «La quasi totalità dei nostri crediti deteriorati è legata a pmi andate male nel corso della crisi, non dipende certo da soldi dati al primo che passa per strada o agli amici degli amici», ha detto commentando il tracollo in Borsa del titolo dell'istituto all'indomani dell'annuncio del nuovo piano industriale e dell'aumento di capitale da 700 milioni. Di certo, al 31 dicembre 2016 i prestiti erogati dal gruppo a società riconducibili a consiglieri di amministrazione dell'istituto ammontano a 98,6 milioni», si legge negli atti dell'ultima assemblea di aprile.
Durante la quale lo stesso Fiordi aveva rassicurato gli azionisti: «la pulizia delle sofferenze comporterà certamente un po' di ulteriori svalutazioni ma si confida nel fatto che questo potrà essere riequilibrato da altre azioni di miglioramento del capitale, quindi senza chiedere ovviamente soldi ai soci». Così non è andata. Anzi. L'aumento di capitale sarà molto diluitivo per gli azionisti della banca che al momento, complice il tonfo di questi giorni, capitalizza meno di 200 milioni.
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