La faccia di Roberto Fico s'illumina in un sorriso soddisfatto. «Il mio mandato si conclude con esito positivo», dice il presidente della Camera. Si presenta ai giornalisti nella Loggia alla Vetrata del Quirinale con aria trionfante. Ha appena riferito sull'esplorazione tra grillini e dem e a Sergio Mattarella ha detto che sì, la maggioranza si può trovare.
«Il dialogo tra il M5s e il Pd - spiega - è avviato e in questi giorni ci sarà anche dialogo in seno alle due forze politiche, aspettando la direzione del Pd la settimana prossima». L'ottimismo di Fico sembra eccessivo, visto che parla solo di un dialogo «avviato», ma per lui le due parti possono superare le differenze e convergere su un minimo comun denominatore. «Credo sia importante, ragionevole e responsabile - sottolinea - rimanere sui temi, sui programmi che sono il centro vero del cambiamento del Paese, nell'interesse di tutti gli italiani».
L'esponente dei 5Stelle al vertice di Montecitorio voleva più tempo per portare avanti l'operazione, ma non l'ha avuto e dovrebbe uscire di scena, almeno per ora. Però, lo fa prospettando un quadro ben diverso da quello con il quale si è concluso, una settimana fa, il sondaggio speculare della presidente del Senato Elisabetta Casellati, sulle possibilità di un patto M5s-centrodestra.
Nei tre giorni di consultazioni Fico ha registrato, più che convergenze, il superamento di pregiudiziali: quella che aveva portato il Pd sconfitto sull'Aventino e quella sulla chiusura del «forno» 5Stelle-centrodestra prima di aprire l'altro. Non si è andati oltre. I dem sono molto cauti, la base resiste ed è manifesto il no di Matteo Renzi all'accordo. Anche i grillini sono divisi e non sanno come spiegare agli elettori un patto con i vituperati nemici di ieri.
Il film di ieri, comunque, è questo. Ore 11, sala della Lupa, Camera. L'«esploratore» Fico incontra, per la seconda volta, la delegazione del Pd: il presidente Matteo Orfini, i capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci e il reggente Maurizio Martina. Che all'uscita parla di «passi in avanti importanti» e di superamento del confronto del M5s con il centrodestra, ma non nasconde «le distanze e le differenze» che rimangono con i grillini. Martina conclude che la decisione verrà presa alla direzione del 3 maggio. «Se il dialogo partisse - precisa Marcucci -, la nostra base sarebbero i 100 punti del programma Pd». Da questo lato, dunque, un'apertura generica, nessun impegno. Tanto che Marcucci giudica «sorprendente» l'ottimismo di Fico, mentre una sfilza di renziani, dalla Morani ad Anzaldi, preannuncia il suo voto contro l'accordo.
Ore 13, sala della Lupa. Fico consulta la delegazione del M5s: il leader Luigi Di Maio e i capigruppo di Camera e Senato, Giulia Grillo e Danilo Toninelli. Un'ora dopo, Gigino gioca sulle parole, dice che non si tratta di «alleanza» tra forze politiche (che evidentemente fa schifo a tutti). In serata ai gruppi parlamentari spiega che «la prossima settimana il dialogo con il Pd in vista della formazione del governo avrà un esito positivo». Assicura che il M5s non fa «come la Lega gli interessi di parte», ma neppure rinnega «le sue battaglie storiche» ed evoca il conflitto di interessi, in chiave antiberlusconiana. «Se si torna al voto - avverte Di Maio - il M5s può solo uscirne rafforzato, ma spero che riusciremo a capitalizzare questo 32% per iniziare a lavorare».
Nel terzo atto al
Quirinale, il grillino Fico ha giocato bene le sue carte. Toninelli lo ringrazia per «la serietà e l'equilibrio». Ma lui ci ha messo anche una buona dose d'astuzia e un controverso inizio di dialogo è diventato un quasi-accordo.
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