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Una fine impietosa per l'icona della sinistra

Lula era considerato il "leader operaio". Ora il Paese si rivolta contro di lui e contro la Rousseff

Una fine impietosa per l'icona della sinistra

La caduta dei giganti di aria fritta. C'è poco da dire sullo scandalo che ha colpito le figure simbolo del Brasile, anzi le icone della sinistra mondiale. Luiz Ignacio Lula da Silva, ex presidente brasiliano, è finito nella polvere. Lui, considerato il «leader operaio», quello che faceva sognare un'intera nazione ed era stato eretto a simbolo del riscatto per milioni di poveri, trascinato a forza dalla polizia federale in caserma per essere interrogato. Il suo marxismo in salsa sudamericana gli aveva attirato le simpatie dei compagni di tutto il mondo, il suo populismo totalmente incentrato sulla difesa dei più deboli, degli sfruttati e sulla guerra al capitalismo, considerato un male della storia. Fino a poco tempo fa era proibito criticarlo, tanto che molti affermavano che Lula «è al di sopra del bene e del male. Il Movimento dei campesinos aveva annunciato che sarebbe sceso in campo con le armi se lo avessero arrestato e gli stessi presidenti neo marxisti del Venezuela, Nicolas Maduro, e della Bolivia, Evo Morales, avevano paventato un intervento armato in Brasile per difendere i compagni. Ma sono solo chiacchiere. Oggi il Brasile non ama più Lula e ama sempre meno anche l'attuale presidente Dilma Roussef. Lo scandalo colossale che ha colpito questa sinistra illuminata ha spinto addirittura i brasiliani a scendere in piazza contro di loro.

Soldi dal colosso petrolifero di Stato Petrobras, tangenti da imprese di costruzione, villa di lusso e attici in regalo, favori per sé e per i suoi familiari. La lista non è finita ed è lunghissima. Alla faccia dei poveri e dei diseredati. Insomma, era «il boss della banda» come lo definiscono in questi giorni i partiti d'opposizione. Ora rischia davvero l'arresto, quantomeno ai domiciliari, perché le prove raccolte dai magistrati sono pesanti e nessuno avvierebbe un'inchiesta di questo calibro contro un uomo così potente e divenuto quasi intoccabile, se non avesse in mano le carte per incastrarlo. Ma è arrivato subito il soccorso rosso. La presidente Roussef ha infatti deciso di nominarlo ministro proprio per metterlo al riparo dalle accuse. Ma non solo. In un'intercettazione telefonica, resa nota dalla magistratura, viene a galla che la nomina è proprio una strategia confezionata dalla presidente per salvare il compagno Lula. Il Tribunale federale ha così deciso di annullarla, mettendo nei guai anche la Roussef. Ed è infuocata la protesta nelle piazze. La gente si aspetta un cambiamento. La crisi economica, la corruzione, la caduta vertiginosa del Pil hanno creato un clima di aspettativa. Il possibile arresto di Lula potrebbe delegittimare il governo e la stessa presidente, che rischierebbe l'impeachment, dopo il suo maldestro tentativo di creargli uno scudo contro le inchieste giudiziarie.

Ma significherebbe anche la fine di un'epoca, l'epoca del Partito marxista leninista che governa ininterrottamente il Brasile dal 2003.

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