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Alla fine del semestre Ue saremo schiavi della Troika

L'Europa non si fida. Juncker glaciale: "L'Italia non si lamenti, per il debito si poteva attiuvare la procedura". Ed è in arrivo il monitoraggio di Bruxelles sui conti. Colpa di burocrazia, troppe tasse sul lavoro e indebitamento record

Jean-Claude Juncker a Bruxelles, nel quartier generale della Commissione
Jean-Claude Juncker a Bruxelles, nel quartier generale della Commissione

Roma - Alla fine all'Italia toccherà subire quello che fu evitato persino dopo il famoso vertice di Cannes del sei novembre 2011. Cioè un «monitoraggio stretto» di Bruxelles sull'attuazione delle riforme e la minaccia del blocco dei fondi strutturali. Un commissariamento della politica nazionale; la versione, in chiave esclusivamente europea, della famigerata Troika (quella vera è composta, oltre che dalla Commissione, da Bce e Fmi e scatta solo in caso di aiuto economico del fondo), che si tradurrà in una lente Ue fissa su Roma per verificare che il governo faccia veramente quello che serve.

Sui conti pubblici, sicuramente, ma non solo. «Non è solo questione di uno zero virgola di deficit», spiega una fonte della Commissione. L'elevato debito pubblico resta il problema principale, ma c'è dell'altro. La competitività ridotta dovuta a un alto costo del lavoro, la produttività, che è invece strutturalmente bassa. Le tasse sul lavoro, ancora eccessive e incompatibili con un sistema paese che parte già in svantaggio. Poi la burocrazia che non accenna ad allentare la morsa sul sistema produttivo e una pubblica amministrazione ancora troppo pesante. La giustizia lumaca, in particolare quella civile. Le privatizzazioni e le liberalizzazioni del settore dei servizi. Tutti nodi sui quali l'Italia ha più volte preso l'impegno a fare qualcosa.

Le avvisaglie di una bocciatura pesante ci sono tutte. Ieri il Jean-Claude Juncker è tornato all'attacco di Roma dicendo che l'Italia «non può proprio lamentarsi» e che Renzi ha «rischiato la procedura per debito eccessivo». Nel senso che la pazienza è finita. Mercoledì aveva evocato «spiacevoli conseguenze» in mancanza di riforme. Che poi sarebbero il seguito scontato delle Macroeconomic imbalances procedure , documento sugli squilibri macro dell'Italia, uscito il mese scorso.

Una doccia fredda che ha già messo l'Italia di fronte a una realtà poco piacevole. La Francia, anche se ha un deficit maggiore del nostro, è in una posizione migliore. I nostri sforzi per restare nei limiti del disavanzo, non bastano e potremmo dovere subire un trattamento che assomiglia molto ad una cessione di sovranità, in compagnia solo di Slovenia e Croazia.

A ognuno dei problemi segnalati dalla Commissione potrebbero corrispondere soluzioni suggerite da Bruxelles e a ogni decisione presa, un monitoraggio passo a passo sull'attuazione. Le conseguenze pratiche si possono solo immaginare. Il governo potrebbe essere costretto a riprendere il dossier privatizzazioni per abbassare il debito, ad attuare il Jobs Act con il turbo, mettendo da parte i «se» e i «ma» politici e sindacali. Magari prendendo ad esempio le «migliori pratiche», europee, ad esempio le riforme del lavoro di Spagna o Germania. O, ancora peggio, prendendo come benchmark i paesi che sono passati per la cura della Troika vera come la Grecia. Poi tagli alla spesa per permettere una riduzione della pressione fiscale.

Se le riforme imposte dell'Europa possono sembrare un programma elettorale condivisibile (se non auspicabile), le conseguenze di un eventuale intestardimento dell'Italia nel non fare sarebbero disastrose e potrebbero arrivare al blocco dei fondi europei.

Oltre al danno economico, ce ne sarebbero altri politici, soprattutto per premier Matteo Renzi. L'onta di un commissariamento con l'accusa di non avere rottamato abbastanza il vecchio Paese. Renzi sarebbe poi costretto a imporre sacrifici in un periodo che considera già elettorale e che vorrebbe impiegare a rivendicare risultati più che a somministrare cure da cavallo a un Paese già alle corde. Le riforme strutturali hanno una caratteristica che le rende indigeste alla classe politica. All'inizio hanno effetti negativi sull'economia e i risultati arrivano, se arrivano, in tempi lunghi.

Magari, non in sincrono con il voto.

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