
Deriva eutanasica o cure palliative? In Parlamento se ne discute da anni, Cassazione e Corte costituzionale hanno via via imposto un percorso sostanzialmente obbligato, sancendo il diritto al suicidio assistito e (forse) anche all'eutanasia. Se ne parlerà dall'8 luglio alla Consulta, che ha dichiarato «non manifestamente infondata» la richiesta di una 55enne paraplegica fiorentina, che ha ottenuto l'accesso al suicidio medicalmente assistito stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza numero 242/2019, ma non può se non attraverso qualcuno che possa somministrarle il farmaco ritenuto idoneo dall'Asl. A farlo dovrebbe essere il suo medico di fiducia. «Libera (nome di fantasia) non è fisicamente in grado di assumerlo autonomamente: è paralizzata dal collo in giù, ha difficoltà nel deglutire e dipende dai caregiver per tutto. Ha rifiutato la sedazione profonda perché vuole essere lucida e cosciente fino alla fine», esultano i legali dell'associazione Luca Coscioni, che considerano la vicenda l'anticamera del diritto all'omicidio del consenziente e alla morte volontaria, come in Belgio, Olanda e Canada.
Il tribunale di Firenze lo scorso 30 aprile ha sollevato la legittimità costituzionale sull'articolo 579 del codice penale (omicidio del consenziente), che punisce con la reclusione fino a 15 anni «chiunque cagiona la morte di un uomo», senza eccezione alcuna. Servirebbe una sua riformulazione, come avvenuto tramite Consulta con l'articolo 580 che depenalizza l'aiuto al suicidio per chi si trova in particolari condizioni critiche (patologie inguaribili, terapie invasive, eccetera).
«Se la Corte afferma un principio, ma non c'è un corollario di regole a darne concreta attuazione, è colpa della politica», dice al Giornale il costituzionalista Alessandro Sterpa, secondo cui «questi diritti delicatissimi in un Paese normale dovrebbero essere appannaggio delle regole imposte dalla politica, e solo dopo controllate dalla giurisdizione costituzionale». Sul fine vita il centrodestra ha un testo unitario che dovrebbe essere presentato in Parlamento il 17 luglio, mentre le Regioni come Emilia-Romagna e Toscana (con due leggi impugnate da Tar e Palazzo Chigi) hanno iniziato a legiferare in modo disordinato. La proposta ruota intorno a «cure palliative non obbligatorie ma disponibili», un «Comitato etico nazionale» per scongiurare il turismo del fine vita, fuori dal Servizio sanitario nazionale.
«La sanità cura la vita e non può garantire queste prestazioni come Lea, a carico della fiscalità generale», ragiona il presidente della commissione Affari sociali Francesco Zaffini all'uscita dal Comitato ristretto. «Il Ssn sia vocato alla vita e alla cura», sottolinea Mariastella Gelmini di Noi Moderati. «Ma così si creerebbe un'insopportabile discriminazione, potrà accedere alla morte dignitosa solo chi avrà le capacità economiche per farlo», lamentano i Cinque stelle. «L'intesa su una materia delicatissima c'è, abbiamo fatto molti passi avanti», assicura il presidente della commissione Giustizia del Senato Giulia Bongiorno.
È il segretario di Stato Vaticano Pietro Parolin, davanti al ministro degli Esteri Antonio Tajani con cui le interlocuzioni sul tema vanno avanti, a ribadire la posizione della Chiesa: «Qualsiasi cosa decida il Parlamento sia a salvaguardia della dignità umana». «La persona non è un sistema di algoritmi: è creatura, relazione, mistero», ricorda Papa Leone XIV ricevendo in udienza i vescovi italiani, «la dignità umana rischia di venire appiattita o dimenticata, sostituita da funzioni, automatismi o simulazioni».
Nel suo messaggio al Festival dell'umano tutto intero il premier
Giorgia Meloni si dice pronta ad «andare controcorrente e affermare principi e valori che nei millenni hanno fatto dell'Italia la splendida eccezione descritta da San Giovanni Paolo II, dove la persona è centrale e la vita è sacra».