Il finto buonista e vero tessitore che fa di tutto un pop

La parabola non evangelica di un politico che ha sfiorato il premierato e oggi fa il gossipparo strappalacrime

Il finto buonista e vero tessitore che fa di tutto un pop

La parabola di Walter Veltroni è impietosa: lo statista che divenne gossipparo. Nel 2008, annus mirabilis, era candidato premier: oggi, annus horribilis Lgbtq+, intervista sul Corriere della Sera Alberto Matano, un giornalista di seconda fascia oraria che sposa un avvocato. Poi, se si crede alle coincidenze significative, c'è da preoccuparsi: fu Veltroni - un non credente in ottimi rapporti con la Chiesa, juventino ma filo romanista - a unire in matrimonio, da sindaco, Francesco Totti e Ilary Blasi. È finita male.

Eppure era iniziata bene: figlio di un radiocronista EIAR e poi dirigente RAI perché la meritocrazia, come il kennedismo, è un requisito indispensabile a certa Sinistra famiglia borghese da comunisti quotidiani e una biografia capitolina mappata tra Porta Pia, il Liceo Tasso, Corso d'Italia e via Veneto, che non è la Roma dei Parioli né la Roma popolare, ma a suo modo umbertina, ubertosa e operosa più che operaia, il giovane Veltroni, Damose da fa', volemose bene, semo romani, si diede molto da fare: tutto casa e FGCI, fidanzate poche perché le ragazze più figiciotte andavano con quelli di Lotta continua, quando i modelli femminili del berlinguerismo erano Santa Maria Goretti e la partigiana Irma Bandiera, le manifestazioni antifranchiste accanto a Ferdinando Adornato e Pier Paolo Pasolini, il quale gli regalò il consiglio più bello e meno seguito «Si applaudono solo i luoghi comuni, mentre si dovrebbe coltivare l'atrocità del dubbio» - ventunenne consigliere comunale del Pci, prima volta alla Camera nell'87 (e alla fine le legislature, fra Pci, Pds, Ds, Ulivo e Pd saranno sei) e posto d'onore nel Comitato centrale del Pci, con delega all'Ufficio Propaganda: Non si interrompe un'emozione. Tanto meno una carriera. Ray Ban anni '70 modello con parasudore, camicie Fiorucci e cineclub... Erano gli anni, Quando c'era Berlinguer, in cui come titolò anni dopo il Manifesto la foto dei giovani Veltroni con occhi a palla e D'Alema coi capelli crespi: «Facevamo schifo».

Mai stato comunista, ma da sempre teorico del partito a vocazione maggioritaria da cui un abuso del «ma anche» per includere il più possibile e il sogno della conquista togliattiana del ceto medio Veltroni, che appena eletto sindaco fece cambiare all'anagrafe la «V» di Valter nella «W» di Walter, che significa «dominatore degli eserciti», fu in effetti, in quel momento, un wincente. E chi lo nega è un bolscevico. Oltre a un indubbio talento nel controllo dei media e delle istituzioni culturali, Veltroni ha la straordinaria capacità di cadere sempre in piedi.

Negli anni '90 è all'Unità, giornale che lui firma, ma in cui il vero uomo-macchina è Luciano Fontana, il quale oggi dirige il Corriere della sera dove invece - ribaltatisi i ruoli e restituiti i favori - Veltroni fa il tuttofare e Fontana il direttore di facciata: anni magici di videocassette allegate al giornale, parco collaboratori infestato di scrittori (tra cui Sandro Veronesi, che ricambia la benevolenza ancora oggi, recensendo i libri del compagno Walter) e foto di Bob Kennedy con il cocker spaniel appesa nella stanza da direttore, accanto a quella di Belinguer. Il comunismo à la amerikana. Quindi ministro della Cultura e vicepremier di Romano Prodi, segretario dei Ds ai tempi dell'«I care», che in romanesco si dice Me preoccupo pe' te, due volte strasindaco di Roma e acclamazione a primo segretario del Pd. Poi (purtroppo...) la débâcle alle elezioni 2008, sognando Obama e con l'incubo del Caimano. Berlusconi fa cappotto, Vetroni le solite camicie button down - coi bottoni slacciati - e mocassini Lotus. Yes we can, but we won't.

«Ma Veltroni non doveva andare in Africa?».

È proprio quando si smette con la politique politicienne che si comincia a fare davvero politica. E così Veltroni resta qui, a cogliere i frutti del potere tessuto per anni nel mondo salottiero-televisivo-cinematografaro romano, fra Rai Radio3 dell'amico Marino Sinibaldi, la Casa delle Letterature dell'amica Maria Ida Gaeta, il festival del cinema di Roma dell'amico Goffredo Bettini, il MAXXI dell'amica Giovanna Melandri, lo Strega che vinto più volte per interposta persona - dal ghost writer Ugo Riccarelli al suo front man Sandro Veronesi - e poi l'arcipelago dei teatri impegnati degli amici militanti dove presentare i suoi libri e i film. È il côté intellectuel coltivato tutta la vita per la costruzione del consenso (il suo) cementato da un inscalfibile amichettismo, Fulvio Abbate dixit, che voleva cambiare intellettualmente il Paese e finiva invece chez Veltroni con serate Chipster, Coca-Coca e Nutella, tutti a guardare il festival di Sanremo. Il nazional popolare prima del sovranismo populista. Veltroni: un uomo così inclusivo da essere insopportabile ma anche adorabile.

Cose che Walter Veltroni adora: la moglie Flavia Prisco (si sono conosciuto quando lei aveva 15 anni e lui 18, testimone di nozze Francesco De Gregori, per dire la vita d'autore dell'amico Walter). Le figurine, e a volte le figuracce. Scrivere libri. Far trasformare i suoi libri in film. Girare film. Leggere le recensioni amiche dei suoi film. Presiedere il Campiello. Andare da Fabio Fazio, che è il veltronismo pop in salsa tv.

Cose che Walter Veltroni non sopporta: Massimo D'Alema, soprattutto i baffi, che gli taglierebbe con un decespugliatore di fabbricazione sovietica. L'Unione sovietica. E anche il comunismo. Essere rappresentato come un bruco. Il giudizio tranchant di Francesco Cossiga: «Veltroni è un perfetto doroteo: parla molto, e bene, senza dire nulla». Il verbo «rottamare» («Mi fa schifoooooo!!!»). E il veltronismo, che neppure lui ha mai capito cosa sia.

Veltroni, veltronismo, Uolterismo, «veltrusconismo». Lo scrittore Giacomo Papi una volta raccontò che nel 1984 il manager Fininvest Maurizio Carlotto segnalò a Berlusconi un giovanissimo quadro di Botteghe Oscure: «Guarda, Silvio, che questo qui è uno sveglio con cui si può parlare e che di televisione ne sa: potrebbe essere la nostra sponda nel Pci». Risposta del Cavaliere: «Veltroni ha i peggiori cromosomi che ci siano in Italia: quelli del Pci e quelli della Rai».

Una porta sempre aperta in Rai, una mai chiusa sulla politica, Walter - vivere vintage - Veltroni è, al netto della leggenda paciosa, un buonista senza bontà, un altruista dell'individualismo, permaloso, invidioso, vendicativo. Come dice uno che li conosce bene: «Se vai a cena con D'Alema, ti diverti anche se ti tratta come un suddito. L'altro, invece, è la strega cattiva delle favole. Non sa mangiare né bere, e t'annoia a morte».

Per fortuna c'è sempre una seconda via. Quella di Veltroni, che ha talmente chiuso con la politica da sognare segretamente il Quirinale, è quella da cui era partito. Il magico mondo dello storytelling, normalizzando l'eccezionale e trascendendo la normalità. Cuore rosso e cronaca nera, da giornalista-scrittore-regista predilige le storie strappalacrime, fra il costume e un suo personalissimo «Come eravamo», l'Heysel e il caso Orlandi, Alfredino Rampi e il Mundial, Giorgio Ambrosoli e Eros Ramazzotti, Carmen Consoli e i bambini di Kiev, non c'è differenza. Manipolatore narrativo della memoria italiana, scrive sempre, di tutto.

Un articolo per il Corriere della sera, poi un pezzo per la Gazzetta dello sport, l'intervista per Sette, poi c'è da finire il libro per Solferino e la sera è In onda su La7. Tanto antiberlusconismo per finire a casa Cairo. Che in effetti è solo la versione veltroniana del Cavaliere.

Ma sì. Come direbbe lui - un boomer del '55 - «Ci sta».

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