Crescita zero quest'anno, un ruggito da coniglio il prossimo quando il Pil salirà dello 0,5%. Il Fondo monetario internazionale inforca occhiali scuri e osserva preoccupato un'Italia con la stessa mobilità di un paracarro. Peggio che a luglio, quando le stime indicavano uno 0,1% supplementare a fine 2019 e uno 0,3% in più per il 2020, l'ultimo World economic outlook riserva un capitolo amaro a Roma proprio a ridosso dell'invio a Bruxelles del Documento programmatico di bilancio. Ovvero, lo «scheletro» di manovra su cui la Commissione Ue si pronuncerà a fine novembre. Ma già fin d'ora, al netto delle zone d'ombra sui provvedimenti da adottare e del loro impatto sul deficit, a far storcere il naso è il rapporto debito-Pil, ancora fuorilegge (135,1%) rispetto ai parametri comunitari. Questo potrebbe essere un punto d'attrito, ed è questo il tasto dolente su cui, dopo le ripetute bacchettate della Bce, batte anche l'Fmi con l'invito a mettere il debito tricolore su «una traiettoria discendente nel medio termine». Trattasi di una priorità indifferibile per un Paese in cui «le necessità di finanziamento sono ampie».
Del resto, conti che non tornano sono una palla al piede per lo sviluppo. E se soffriamo gli stessi mali (dazi, tensioni geopolitiche, invecchiamento demografico) del resto del mondo, affetto da «un serio rallentamento sincronizzato» (crescita 2019 del 3%, la peggiore dalla crisi finanziaria globale del 2008), poi ci mettiamo del nostro per fare peggio. A Washington spiegano la revisione delle stime con «l'affievolimento dei consumi privati, il minor stimolo fiscale e il più debole ambiente esterno». I primi due fattori sono un'esclusiva made in Italy e sembrano destinati a deteriorarsi grazie alle ricette economiche proposte dal Conte-bis. Non basta un alleggerimento del cuneo fiscale, soprattutto se accompagnato da imposte che agiscono come killer sulle spese private quotidiane, per invertire la rotta. Anzi. Non a caso, le previsioni di Palazzo Chigi non vanno oltre una crescita dello 0,1% nel 2019 e dello 0,6% programmatico il prossimo.
E meno male che Mario Draghi, sfidando l'ira dei falchi del board, ha rimesso le mani nella cassetta degli attrezzi dell'Eurotower per estrarre un nuovo round di acquisto titoli da 60 miliardi al mese, corroborato da un ulteriore taglio dei tassi sui depositi presso la stessa Bce. E ciò vale anche per le altre banche centrali, Federal Reserve compresa, che hanno varato stimoli monetari. In assenza dei quali la crescita mondiale sarebbe stata inferiore di mezzo punto percentuale sia quest'anno, sia il prossimo. Il calcolo è sempre dell'Fmi. «Lo stimolo - spiega la capo economista del Fondo, Gina Gopinath - ha contribuito ad attenuare l'impatto negativo delle tensioni commerciali Usa-Cina che peseranno sul Pil globale 2020 per lo 0,8%». Resta da vedere se Washington e Pechino metteranno davvero nero su bianco l'intesa sottoscritta solo verbalmente venerdì scorso. Un primo passo verso un big deal sarebbe di fondamentale importanza per riportare l'asse economico mondiale sul versante di una più robusta crescita.
Poi, bisognerà anche capire come Donald Trump, che ha in canna dazi per un controvalore di 7,5 miliardi di dollari, si comporterà con l'Europa. È un aspetto che riguarda da vicino l'Italia e in particolare la sua filiera agroalimentare, ma soprattutto la Germania, la cui vocazione all'export è diventata un tallone d'Achille in tempi di protezionismi. Eppure, Berlino non sembra reagire con misure di contrasto. E così, quasi in un copia-incolla delle ripetute sollecitazioni di Draghi, l'Fmi raccomanda di alimentare la domanda interna.
In due modi: o alzando gli investimenti in capitale umano e fisico, oppure riducendo il cuneo fiscale sul lavoro. Forse Christine Lagarde, appena uscita dal Fondo, non troverà un comitato di benvenuto quando il primo novembre prenderà il posto di Super Mario.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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