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Foibe, Mattarella e Pahor per mano

Il presidente italiano e quello sloveno a Basovizza: "Sofferenza patrimonio comune"

Foibe, Mattarella e Pahor per mano

L'immagine che rimarrà nella storia è il capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella, che si tiene per mano con il presidente sloveno, Borut Pahor, il primo dell'ex Jugoslavia, davanti alla foiba di Basovizza. I due, immobili davanti ai corazzieri sull'attenti, che hanno deposto la corona sul monumento nazionale con i colori dei rispettivi paesi. In silenzio di fronte ai morti italiani dei partigiani di Tito, che occuparono Trieste deportando e infoibando.

Peccato che non ci fosse il popolo degli esuli e dei triestini, che non ha mai celato il dramma delle foibe nei cassetti nascosti della storia come è accaduto per oltre mezzo secolo. Gli esuli costretti alla fuga dalle violenze titine alla fine della seconda guerra mondiale erano rappresentati da una ventina di superstiti senza i gonfaloni dei comuni in esilio e le bandiere, a causa di un inflessibile protocollo. Il presidente dalla Federazione degli esuli, Antonio Ballarin era in prima fila. Però l'Unione degli istriani, una delle associazioni più rappresentative ha deciso di non partecipare per le imposizioni, polemiche e spaccature di questo lungo 13 luglio. «Con l'omaggio alla foiba si riconoscono i crimini di Tito. E Trieste entra nella storia dell'Italia e dell'Europa» dichiara al Giornale, Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli-Venezia Giulia. Dopo Basovizza i presidenti portano un'altra corona al monumento dei quattro fucilati sloveni nel 1930 durante il fascismo. Martiri per Lubiana e la sinistra, ma «terroristi» che volevano annettere la Venezia Giulia per molti a destra. Anche gli esuli che erano alla foiba non si sono presentati incontrando Mattarella nel pomeriggio. In compenso lungo la strada principale una quindicina di estremisti, soprattutto della minoranza slovena, indossava per protesta una maglietta con scritto «la foiba della menzogna». Il presidente Pahor era già stato accolto prima di arrivare in Italia da una trentina di connazionali con uno striscione eloquente: «Traditore». In città Casa Pound ha fatto lo stesso nei confronti dei governi italiani.

In prefettura è stata firmata la restituzione alla comunità slovena dell'edificio che 100 anni fa ospitava l'hotel Balkan e il Narodni Dom, la casa del popolo degli slavi. La storiografia ufficiale sostiene che è stato bruciato dai fascisti, ma esistono ricostruzioni opposte. In prefettura, Mattarella, ha dichiarato che sloveni e italiani possono continuare «a coltivare risentimenti e rancore, oppure, farne patrimonio comune nel ricordo e nel rispetto, sviluppando amicizia e condivisione del futuro». Pahor ha risposto che «giustizia è stata fatta. Oggi Trieste () celebra i valori più nobili a fondamento dell'Ue e ne diviene capitale». Poi i capi di Stato si sono recati all'ex Balkan, oggi scuola interpreti. All'esterno una cinquantina di persone con la stella rossa sulla maglietta hanno intonato l'inno della Resistenza degli sloveni del litorale. All'ex Balkan è arrivato lo scrittore sloveno, Boris Pahor, ultracentenario per venire decorato da Italia e Slovenia. Intellettuale sempre poco attento alle foibe e molto ai soprusi fascisti. Ai microfoni della tv locale Tele 4 ha dichiarato «che è tutto una balla, non era vero niente» riferendosi al «giorno del Ricordo del 10 febbraio» e alle accuse rivolte «all'armata jugoslava che ha fatto gettare nelle foibe non so quanti italiani».

Sull’onorificenza italiana il governatore Fedriga risponde secco: «Adesso che l’abbiamo data a lui togliamola a Tito».

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