Briciole e alibi. È quello che il governo ha destinato alla Lombardia in un mese e mezzo d'emergenza. «Stiamo ricevendo delle briciole - ha detto ieri il governatore Attilio Fontana - Se noi non ci fossimo dati da fare autonomamente, noi avremmo chiuso gli ospedali dopo due giorni». Gli ospedali non solo la Lombardia non li ha chiusi: ne ha aperti di nuovi. E mentre dalla Protezione civile il 15 marzo spiegavano che il presidio di Milano non si poteva aprire perché «per allestire un ospedale ci vuole un mese», la Regione - con l'aiuto di tanti - ne ha tirati su tre in 15 giorni.
Non ha mai attaccato per primo Fontana, ma continua a dover reagire agli attacchi di parte che arrivano da governo e sinistra. E se qualcuno approfitta del momento per immaginare improbabili riforme della sanità o delle autonomie, altri più prosaicamente intendono solo scaricare sulla Lombardia il peso delle loro carenze. Fontana non lo ha detto, ma quelle «briciole» governative si possono quantificare. Eccole, quindi, le risposte del governo Conte all'emergenza lombarda. I ventilatori polmonari necessari per dare a tutti una risposta terapeutica adeguata erano 1.152. Ne sono arrivati solo 236. La Regione ne ha trovati «da sé» 740. Ed è grazie a questa risposta autonoma che ha saputo passare dagli iniziali - normali - 724 posti di terapia intensiva agli attuali 1.700. I ventilatori richiesti per la terapia subintensiva erano 9.531. E al Pirellone ne sono arrivati soltanto 37.
Poi c'è la questione mascherine. «Il numero di mascherine che ci arrivavano dalla Protezione civile - ha detto il governatore - non ci avrebbe consentito di aprire gli ospedali». La Lombardia avrebbe avuto bisogno di 30 milioni di mascherine, e ne ha avute appena 2,1 milioni.
Infine, il capitolo più doloroso: la mancata zona rossa in Val Seriana. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha incredibilmente dichiarato che «se la Lombardia voleva la zona rossa nel Bergamasco poteva disporla». E anche in questo caso, non attaccando ma rispondendo, Fontana ha spiegato come sono andate le cose: «Il premier Conte, che è un fine giurista - ha detto - deve darmi due risposte: come faccio io che non ho titoli a bloccare un diritto costituzionale protetto. Due, anche se l'avessi disposta con che forze dell'ordine avrei potuto chiudere la zona rossa?». Per il governatore, insomma, è uno scaricabarile. «Noi a Conte abbiamo chiesto la zona rossa, nel comitato tecnico il nostro rappresentante ha insistito. È inutile che cerchi di scaricare su di noi».
Il tentativo è chiaro. E gli altri artefici di questo pretestuoso scaricabarile sono i sindaci del Pd, alcuni dei quali - a epidemia incombente - si erano fatti notare solo per le iniziative «antirazziste», e poi per le note campagne per far «ripartire» le città, sulle quali stava per infuriare la peggiore epidemia da un secolo a questa parte. Alcuni sindaci dei capoluoghi hanno indirizzato a Fontana alcune domande polemiche. Con altre domande, ma sull'operato del governo, ha risposto il capogruppo lombardo di Forza Italia Gianluca Comazzi, rivolgendosi ai sindaci Pd: «Come mai - ha chiesto - il Governo non è stato in grado di garantire gli adeguati approvvigionamenti di mascherine? Come mai il Governo non ha previsto in tempi rapidi un incremento del fabbisogno di personale? Come mai il Governo non ha detto con chiarezza che i 4.
3 miliardi ai Comuni erano finanziamenti già dovuti? Come mai emana ogni giorno un'ordinanza diversa? Come mai rimane avvolto in pastoie burocratiche? Come mai non ha saputo gestire l'informazione in maniera consona? Come mai la Lombardia, regione più colpita d'Italia, è stata trattata come qualsiasi altro territorio? Come mai il presidente Conte il 21 febbraio ha detto che era «tutto sotto controllo»? Come mai, mentre la Lombardia era impegnata nel gestire l'emergenza, il segretario Pd organizzava aperitivi nel centro di Milano, e il sindaco rilanciava l'hashtag Milanononsiferma?».
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