Francesco ricorda la Shoah: «La barbarie più disumana»

Serena SartiniRoma Si batte la mano destra sul petto, Papa Francesco, al termine della sua visita alla Sinagoga di Roma, per indicare che la comunità ebraica è e resta nel suo cuore. Sono le 16,20 quando Jorge Mario Bergoglio varca la porta del Tempio Maggiore, sul Lungotevere de' Cenci. Il Ghetto è blindato, i controlli serratissimi, il lungotevere viene chiuso all'altezza dell'Isola Tiberina. Gli oltre 300 giornalisti accreditati attendono i controlli di sicurezza in una giornata assolata ma particolarmente fredda.Il Papa arriva a largo 16 ottobre 1943 e depone dei fiori sulla lapide che ricorda la deportazione degli ebrei romani nei campi di sterminio nazisti; poi si sofferma alcuni minuti davanti alla lapide di Stefano Gaj Tachè, il bimbo di due anni ucciso dai terroristi palestinesi nell'attentato del 1982. Poi il momento più emozionante: l'ingresso di Francesco nella Sinagoga, terzo pontefice a farlo dopo Giovanni Paolo II nel 1986 e Benedetto XVI nel 2010. La platea non risparmia lunghi e calorosi applausi. «Todà, rabbà» (grazie tante, ndr), esordisce Francesco nel suo discorso. «Ebrei e cristiani devono sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune», aggiunge il Papa. Poi ricorda Wojtyla che definì gli ebrei «fratelli maggiori». «Voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede». Arriva anche la condanna a «ogni forma di antisemitismo, ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione». «La violenza dell'uomo sull'uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome», tuona il Papa argentino. Infine, il ricordo della Shoah. «Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un'ideologia che voleva sostituire l'uomo a Dio. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace». «Shalom alechem», conclude.«Oggi scriviamo ancora una volta la storia», sottolinea la presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello. «L'antisionismo è la forma più moderna di antisemitismo», condanna la donna, sottolineando che «l'odio che nasce dal razzismo e trova il suo fondamento nel pregiudizio o peggio usa le parole e il nome di Dio per uccidere, merita sempre il nostro sdegno e la nostra ferma condanna».

«Le differenze religiose non devono essere giustificazioni all'odio e alla violenza», ribadisce il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, che consegna al Papa due doni: un dipinto rappresentante una Menorah e un calice in argento.

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