
Per Matteo Renzi la giornata comincia col segno più, in barba ai «gufi» della minoranza Pd e della Cgil che continuano la loro guerriglia contro di lui. E che ieri, oltre allo smacco dei segnali positivi sul lavoro, si son beccati anche la violenta tirata d'orecchie assestata a Rosy Bindi e alla sua «lista degli impresentabili» niente meno che da Raffaele Cantone, il gran capo dell'Anticorruzione. «Questa vicenda degli impresentabili è stato, per me, un grave passo falso, un errore istituzionale», anche perché, ricorda, la commissione Antimafia dovrebbe occuparsi appunto di mafia, e invece così la si è condotta a «fare e parlare d'altro». Quanto al caso De Luca, Cantone afferma di non dare per «scontata» la sospensione immediata prima dell'insediamento e della nomina della giunta. Un assist che subito dal centrodestra gli viene contestato, accusandolo di partigianeria verso un eletto Pd.
Raccontano che, letta l'intervista del super-magistrato a Repubblica Rosy Bindi abbia fatto fuoco e fiamme, e in serata Cantone ha un po' smorzato i toni per evitare l'incidente istituzionale, spiegando di non aver criticato la persona della presidente Antimafia ma l'interpretazione del «codice etico» da parte della commissione.
Il clima nel Pd resta agitato. La minoranza ha chiesto a Renzi un rinvio della Direzione di lunedì, per non «influenzare negativamente i ballottaggi nei Comuni», in particolare quello di Venezia, dove il «loro» Felice Casson deve vedersela col candidato di centrodestra. La risposta è stata picche: «Non si può perdere altro tempo, lunedì sera ci chiariremo», ha fatto sapere l'implacabile presidente Matteo Orfini. Sarà Renzi, di ritorno dal G7 in Germania, a mettere le carte in tavola. E agli irriducibili della sinistra Pd chiederà di applicare d'ora in poi rigorosamente il «codice Bersani», ossia quella norma dello statuto del gruppo, fatta approvare dall'ex capogruppo Speranza proprio su richiesta di Bersani, che impegna tutti i parlamentari al «principio di maggioranza»: piena libertà di dissenso e di discussione, ma una volta che la maggioranza del gruppo ha deciso come si vota, tutti si devono attenere. Un impegno che il candidato premier Bersani fece sottoscrivere a tutti i parlamentari dell'intera coalizione, e che ora è il primo a disattendere.
Intanto ieri si è posizionato sull'ala sinistra del partito il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che in un'intervista critica l'idea «ambigua» del «partito della nazione» e sollecita Renzi ad occuparsi di «ricostruire il Pd» come «grande soggetto riformista del centrosinistra». Ma strattona anche la minoranza del Pd, invitandola a piantarla col «congresso permanente» e ribadendo che «il Pd tiene e vince», portando a casa «un saldo positivo» dalle Regionali, e che dunque «vanno evitate le letture strumentali» del voto. Il problema «enorme» da affrontare è se mai quello dell'astensionismo, che «penalizza tutti i partiti». Ma per farlo, manda a dire alla sinistra interna, ora «è necessario stringerci attorno al presidente del Consiglio per una battaglia che non è sua, ma di tutto il Pd».
Piena lealtà al premier, insomma, ma un posizionamento a sinistra in vista di futuri riassetti. Dai quali uscirà penalizzata l'ala dura della minoranza (le presidenze di commissione di Epifani e Boccia, ad esempio, sono ad alto rischio) e premiata quella più dialogante.