«P er il Sì c'è uno schieramento minaccioso», denuncia Massimo D'Alema, che scende in campo alla testa del No. Al suo fianco, nell'affollata sala convegni di Roma dove l'ex leader Ds ha organizzato ieri la sua kermesse, annuiscono e applaudono Gianfranco Fini, Lamberto Dini, Stefano Rodotá, Paolo Cirino Pomicino, Antonio Ingroia, Pippo Civati, Gaetano Quagliariello. Tutti insieme appassionatamente, contro la riforma e contro Matteo Renzi.
«Il governo ombra di D'Alema per il post referendum», ironizzano in casa renziana, dove si continua a pensare che l'ex premier coi baffi e le sue manovre siano fra le migliori carte per la propaganda del Sì. D'Alema assicura di aver pronta una riforma nuova nuova della Costituzione, e anche della legge elettorale, entrambe molto più belle di quelle approvate dal Parlamento e sottoposte al referendum del 4 dicembre. «Ci sarà un appello ai parlamentari per cominciare a raccogliere le firme e dare corpo alla nostra proposta, che potrebbe essere incardinata già dall'indomani del referendum», fa sapere. Il governo, assicura D'Alema, «sta alimentando un clima di paura e intimidazione» e cerca di «far sentire in colpa chi è per il No come se portasse il Paese verso il baratro». Invece, è il messaggio che vuol essere rassicurante, dopo il No c'è lui, pronto a farsi carico dei destini del Paese e delle riforme. Arrivano anche una delegazione di Forza Italia, con Maurizio Gasparri e Paolo Romani, e una della Lega. E c'è un gruppetto di esponenti della minoranza Pd, con Zoggia e Mucchetti, spediti lì da Pier Luigi Bersani che certo non vuole restare fuori dai giochi del dopo referendum, se vincesse il No, e lasciare a D'Alema la regia dell'auspicato scenario post-Renzi.
Bersani è reduce da un nuovo smacco, avvenuto ieri dietro le quinte: l'ex segretario voleva proprio Zoggia come rappresentante «duro» della minoranza nel comitato Pd che dovrebbe lavorare alle modifiche dell'Italicum, varato con la benedizione di Renzi dopo la Direzione di lunedì. Invece la fronda si è divisa, e la ha spuntata Gianni Cuperlo, considerato dai renziani assai più leale e disposto al dialogo dei bersaniani, ormai asserragliati sul no a ogni mediazione. L'ex segretario si è quindi affrettato a gettare una secchiata d'acqua gelida sull'operazione: «Andremo a vedere le carte, ma parteciperemo con scetticismo a questa commissione».
Il premier, del resto, non è granché interessato alle mosse della minoranza, a questo punto: «La mia disponibilità al confronto la ho data, se non ci credono sono liberi di votare come vogliono». Renzi ormai si è convinto che nel Pd saranno in pochi a seguire lo strappo bersaniano. In Parlamento già una decina di deputati e senatori della minoranza si sono dissociati dal No: «Il referendum non va usato come pretesto per un assurdo redde rationem. Voterò Sì, come ho votato in parlamento», dice il giovane bersaniano Enzo Lattuca. E in giro per l'Italia, dall'Emilia Romagna al Veneto alla Lombardia sono decine gli amministratori locali o i dirigenti di partito bersanian-dalemiani che si dissociano dai leader della fronda: «La posizione di Bersani oggi mi lascia molto perplesso», ammette il presidente della provincia di Mantova Morselli.
La contestazione anti-Renzi, invece, arriverà alla Leopolda di novembre a Firenze: dopo i sindacati contro il Jobs Act del 2014 e gli investitori di Banca Etruria l'anno scorso, questa volta toccherà movimenti studenteschi, No Tav e antagonisti mettere sotto assedio la manifestazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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