Giorgio Coluccia
Quel podio alle Olimpiadi di Rio 2016 resta uno dei momenti più simbolici. La disciplina è il taekwondo, categoria femminile 57 kg, e con la medaglia al collo sono in quattro. Sul gradino più basso ci sono ex aequo l'egiziana Hedaya Malak e l'iraniana Kimia Alizadeh. Hanno entrambe il velo, lo stesso sorriso largo di chi ha coronato un sogno e sfoggiano la stessa medaglia, il bronzo olimpico. C'è di più, a soli 18 anni Alizadeh ha appena sgretolato un muro, è diventata la prima donna venuta dall'Iran a vincere una medaglia ai Giochi Olimpici. Il talento, il successo, una scalata che è carica di significati, non soltanto sportivi. Fino al colpo di scena.
A meno di duecento giorni da Tokyo 2020, ha deciso che l'Iran non sarà più il suo Paese e lei non rappresenterà più quella bandiera in nessuna competizione. Ha fatto perdere le sue tracce negli ultimi giorni, è scappata di nascosto dalla Repubblica islamica finché non ha deciso di rompere il silenzio attraverso Instagram, a quanto pare dall'Olanda, dove si sarebbe rifugiata per continuare la preparazione e trovare un'altra bandiera per il prosieguo della carriera. «Sono una delle milioni di donne oppresse in Iran - ha scritto in una lunga lettera pubblicata sul social network - altro non ero che uno strumento politico nelle loro mani. Mi facevano dire alla stampa ciò che volevano loro, mi vestivo come volevano loro e dovevo rispettare anzitutto i loro sporchi interessi. Ho voltato le spalle a questi oppressori perché io sono un essere umano, voglio le mie libertà. Chiedo solo sicurezza, una vita felice e di potermi dedicare al taekwondo».
Senza mezzi termini, Alizadeh ha parlato di sessismo, maltrattamenti, discriminazioni e una parità di genere del tutto assente nella gestione da parte dei vertici sportivi e politici di Teheran. Accusati di essere ingiusti, ipocriti e bugiardi perché da un lato celebravano i suoi tanti successi, ma dall'altro, a riflettori spenti, gli rinfacciavano di aver scelto una disciplina da cui le donne dovrebbero stare alla larga. «È una decisione difficile, ancora più difficile dei sacrifici che ho fatto per salire sul podio alle Olimpiadi. Adesso non importa dove andrò, resterò comunque figlia del mio Iran» ha chiosato l'atleta di taekwondo, che con il suo post su Instagram ha raccolto oltre 500 mila interazioni tra commenti e like, a dimostrazione anche di una celebrità raggiunta in patria che a Teheran non vedevano certo di buon occhio.
Oltre al boom delle Olimpiadi brasiliane, l'atleta iraniana è stata portabandiera durante i Giochi Olimpici giovanili di Nanchino e si è imposta a livello internazionale vincendo un bronzo e un argento ai Mondiali di categoria. Eppure non è bastato, anche Kimia ha deciso di scappare via lontano come avevano fatto di recente altri sportivi iraniani, tra cui il judoka Said Molaei e lo scacchista Alireza Firouzja. Basta così, addio.
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