Il futuro della legislatura in mano alla Consulta: adesso tocca al Jobs Act

Oggi il verdetto sui referendum della Cgil: se la Corte li approva sarà pressing voto anticipato

Il futuro della legislatura in mano alla Consulta: adesso tocca al Jobs Act

Se la Consulta è spaccata sulla decisione di oggi sull'ammissibilità del referendum sul Jobs Act, proposto dalla Cgil, certo lo è anche il Pd e lo stesso Matteo Renzi, in cuor suo. Tornato a Roma dopo le feste, il segretario dem incontra nella sede nazionale del partito al Nazareno lo stato maggiore, a cominciare da Lorenzo Guerini e Matteo Orfini. Si discute della nuova segreteria per rilanciare l'azione dopo la batosta della riforma Boschi, ma anche degli scenari elettorali sui quali peseranno le decisioni della Corte Costituzionale, quella appunto sul mercato del lavoro e poi quella del 24 gennaio sull'Italicum.

Sulla prima è combattuto, l'ex premier, perché se teme una bocciatura del Jobs Act sul quale il suo governo ha puntato tanto, è anche vero che il referendum potrebbe accelerare un voto anticipato che lui, almeno ufficialmente, desidera. Soprattutto se arrivasse il via libera sul quesito più pesante, quello sull'articolo 18 (gli altri, su voucher e appalti, potrebbero essere neutralizzati con leggine in Parlamento), lo scioglimento delle Camere sarebbe dietro l'angolo ed elezioni in estate farebbero slittare il nuovo referendum a primavera 2018. Renzi non può e non vuole rischiare una seconda stroncatura referendaria, ma ultimamente non è così sicuro di ottenere nelle urne quella legittimazione che finora gli è mancata. Dunque, meglio prendere tempo, ma come?

L'ufficio stampa del Pd, però, smentisce con vigore che Renzi tifi per l'ammissibilità del quesito sull'articolo 18 e precisa che il partito rispetterà la decisione della Consulta. Ma su referendum ed elezioni, in realtà, i dem sono divisi. C'è la minoranza, con Roberto Speranza che lo attacca come «leader sconfitto», chiede il congresso, trattative su un «sistema misto maggioritario e proporzionale» e avverte: «Se la Corte Costituzionale ammettesse i tre quesiti sul Jobs Act, il Pd dovrebbe immediatamente intervenire in Parlamento per porre rimedio alle cose che non hanno funzionato. È molto facile sui voucher, abbastanza sugli appalti, un po' più complicato sull'articolo 18. Ma se la legge sui voucher non viene modificata, io voto per l'abrogazione». E c'è chi, come il ministro Graziano Delrio, sembra voglia sfruttare un sì della Consulta per accelerare la fine della legislatura, mentre altri, come il collega Dario Franceschini, preferirebbero un no.

La Consulta, comunque, si trova ancora una volta ad essere arbitro di delicate scelte politiche. E i suoi giudici, in testa Giuliano Amato e Augusto Barbera (Pd), in questi giorni avrebbero subito e messo in atto molte pressioni. A decidere oggi saranno in 14 (Giuseppe Frigo si è dimesso a novembre) e potrebbe essere determinante il voto del presidente Paolo Grossi, che in caso di parità, vale doppio. Nelle 3 udienze a porte chiuse i relatori saranno Silvana Sciarra, Mario Rosario Morelli e Giulio Prosperetti, gli avvocati del comitato promotore Vittorio Angiolini e Amos Andreoni e per la presidenza del Consiglio l'avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata.

Sull'articolo 18, le indiscrezioni dicono che la Sciarra sia favorevole all'ammissibilità, mentre Amato spingerebbe per il sì su voucher e appalti, i quesiti più innocui e la bocciatura sul terzo.

Che sarebbe «manipolativo», per l'Avvocatura dello Stato, perché invece di abrogare solo parte della legge estenderebbe i limiti al licenziamento per le aziende sopra i 15 dipendenti a tutte quelle che ne hanno più di 5.

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