Coronavirus

Il G7 fa cilecca sul piano d'emergenza La Fed taglia i tassi, ma Borse deluse

I grandi si limitano a promettere «misure appropriate». Negli Usa tassi giù di mezzo punto, non accadeva dal crac Lehman

Il G7 fa cilecca sul piano d'emergenza La Fed taglia i tassi, ma Borse deluse

Adesso non basta neppure più la Federal Reserve armata di spadone a far sentire protetti i mercati. Il taglio netto dei tassi dello 0,50%, portati ieri all'1-1,25% dalla banca centrale Usa a ridosso della fallimentare riunione del G-7, incapace di partorire una sola misura economica di contrasto al coronavirus, ha avuto il solo effetto di far scivolare il Dow Jones (-2% a un'ora dalla chiusura), di provocare il crollo all'1% dei rendimenti dei bond decennali a stelle e strisce e di afflosciare, come soufflé mal riusciti, i corposi rialzi accumulati fino al primo pomeriggio dalle Borse europee (Milano da +2,6% a +0,43%, Stoxx600 a +1,3%). L'oro, invece, ha ripreso la sua arrampicata verso i 1.700 dollari l'oncia.

Le variazioni di politica monetaria in solitaria dimostrano quindi di avere il fiato corto, così come non illude i mercati una mossa d'emergenza che per entità non si vedeva dal crac nell'ottobre 2008 di Lehman Brothers. Serve altro. Non l'azzeramento dei tassi preteso da un Donald Trump in evidente cortocircuito col suo governo («Ok il taglio, ma non è sufficiente», il suo tweet di ieri; «Applaudo la Fed per questa mossa», il commento in direzione contraria del segretario al Tesoro, Steven Mnuchin) e terrorizzato in chiave elettorale per le ripercussioni create dallo sbarco negli States dell'epidemia, bensì misure politiche concertate. E se la Bce di Christine Lagarde continua a baloccarsi con locuzioni ormai fruste («Siamo pronti ad adottare misure appropriate e mirate», ha detto ieri), identico, quasi un esercizio di copia-incolla, è il messaggio uscito alla fine della riunione di ministri delle Finanze e banchieri centrali di quelli che una volta erano i sette Paesi più industrializzati: «Pronti a prendere misure, anche di bilancio dove appropriate». Una roba da amici al bar che volevano cambiare il mondo, ma poi restano prigionieri dell'inazione.

«Ciò che conta davvero non è il virus, ma i rischi per l'economia. Quei rischi ci sono, e abbiamo scelto di agire - ha spiegato il numero uno della banca centrale - . Cominciamo a vedere effetti e preoccupazioni da parte di diverse industrie, anche se non disponiamo di tutte le risposte, mediche o per la supply chain». Chiaro il riferimento ai problemi creati dal Covid-19 alla catena degli approvvigionamenti, un macigno reso ancora più enorme dalla possibilità che le abitudini di consumo vengano stravolte, in ogni parte del mondo, dal coronavirus. Se le banche non si fanno carico di aiutare le imprese e in assenza di provvedimenti a tutela della crescita economica da parte dei governi, il rischio è che la politica monetaria diventi un'arma a doppio taglio.

Ciò che è successo ieri dimostra che non serve più mandare in avanscoperta la Fed per vedere di nascosto l'effetto che fa e guadagnare tempo. Per dare un senso a un'altra sforbiciata di 50 punti al costo del denaro Usa nella riunione del 18 marzo, c'è bisogno di una regia comune a livello globale.

Ieri Trump ha intanto riunito alla Casa Bianca il suo staff, ma senza che venissero adottati provvedimenti sul versante della finanza pubblica. La decisione di far ulteriore deficit, magari spingendo sugli sgravi fiscali, potrebbe infatti trovare ostacoli anche all'interno del Partito repubblicano. Sembra invece avere le mani più libere l'Opec, in procinto di mettere in campo contromisure per arrestare la caduta dei prezzi del petrolio, tornati però ieri a salire di circa il 3% grazie ad alcune indiscrezioni che indicano come possibile una riduzione produttiva di 600mila, 750mila o addirittura un milione di barili al giorno.

Fatto mai successo, a causa del coronavirus i giornalisti resteranno fuori dalla porta durante la riunione prevista domani e venerdì a Vienna.

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