Garantismo doveroso nel voto su Minzolini

Un voto assolutamente legittimo e pienamente conforme ai dettami costituzionali

Garantismo doveroso nel voto su Minzolini

di Paolo Romani*

Caro Direttore,

vorrei fare un po' di chiarezza sugli eventi accaduti al Senato in occasione dei voti sulla mozione di sfiducia individuale al ministro Lotti e sulla relazione della giunta elezioni sull'ineleggibilità sopravvenuta del senatore Minzolini. Non ho voluto commentare le assurde parole del vicepresidente della Camera Di Maio che addirittura istigavano alla violenza, ma trovo oggi necessario mettere un punto fermo, in quanto trascorsa ormai una settimana leggo ancora ricostruzioni, interpretazioni e prese di posizione che trovo improprie, ingiustificate e fuori luogo.

Prima di tutto vorrei sgombrare il campo da ogni ipotesi che colleghi i due eventi: la contestualità, o meglio la successione ravvicinata nel calendario, delle due votazioni è stata assolutamente casuale e determinata da due iter parlamentari molto diversi: l'uno, la relazione della giunta su Minzolini, rinviato più volte a causa dell'urgenza di altri provvedimenti; l'altro, la mozione di sfiducia al ministro Lotti, calendarizzata con urgenza su espressa richiesta dei presentatori, il M5s. Il comportamento in Aula di Forza Italia, che mi onoro di rappresentare, in occasione della sfiducia individuale è stato assolutamente coerente con la linea politica del nostro movimento sin dagli esordi. Il garantismo, come ho anche ribadito nella mia dichiarazione di voto, non è una pratica che si possa esercitare a giorni alterni, all'occorrenza o quando utile: il garantismo è un principio dello stato di diritto che si concretizza nell'esistenza e nella difesa dell'insieme delle garanzie costituzionali atte a tutelare le fondamentali libertà dei cittadini. Lo si applica, anzi lo si deve applicare, con maggior convincimento e determinazione proprio quando riguarda un avversario politico. Questo principio, parte integrante della visione di Forza Italia del rapporto fra cittadini e giustizia, ci ha mosso, insieme alla convinzione che la responsabilità dell'attività di un esecutivo è collegiale e non scindibile al livello di ogni singolo ministro. Non potevamo quindi prendere parte a un voto che avrebbe contraddetto la nostra storia e i nostri valori, anche se andava nel senso della nostra convenienza politica. Lungi da noi avvantaggiare l'ennesimo governo non votato dagli italiani: non utilizzeremo mai la giustizia contro l'avversario politico, lo batteremo alle urne perché la nostra è l'unica valida possibilità di governo del Paese.

E arriviamo dunque al voto sulla decadenza del senatore Augusto Minzolini. Un voto assolutamente legittimo e pienamente conforme ai dettami costituzionali: l'art. 66, infatti, attribuisce alla camera di appartenenza il dovere di giudicare, e non di verificare, i titoli di ammissione dei propri componenti. Nessun automatismo dunque, nessuna presa d'atto passiva, come hanno ricordato illustri costituzionalisti, può essere imposta da una legge di rango inferiore, la legge Severino appunto. È questa la ragione per cui risulta indispensabile una revisione della legge e dei suoi margini di ambiguità, che già una volta, nel caso del voto sulla decadenza del presidente Berlusconi, hanno portato all'errata interpretazione e all'equivoco dell'applicazione automatica. Oggi qualcuno mette in discussione il principio dell'autodichia: se ne potrebbe parlare, ricordando però le ragioni dei padri costituenti con le parole del presidente dell'Assemblea Costituente, Umberto Terracini: «Attraverso la giunta delle elezioni, è ancora la massa degli elettori che giudica la propria azione; quindi è proprio il principio della sovranità popolare che si afferma nuovamente nella verifica dei poteri». È appunto per questo che trovo gravissime le affermazioni di autorevoli esponenti del Pd che avrebbero auspicato un'indicazione politica di voto sul senatore Minzolini, contraddicendo quella libertà individuale di giudicare dei titoli di ammissione dettata dalla Costituzione stessa.

Non vorrei che fossero verità le parole di Alessandro Manzoni ricordate da un altro esponente del Pd, il senatore Tonini: «Il buon senso c'era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune».

*capogruppo di Fi al Senato

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