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La Gdf a casa di Conte: perquisito il suo studio. Nel mirino le consulenze

Bancarotta e false fatturazioni nell'inchiesta Acqua Marcia. L'ex premier non è indagato

La Gdf a casa di Conte: perquisito il suo studio. Nel mirino le consulenze

Concorso in bancarotta fraudolenta: era questa l'ipotesi di reato con cui Giuseppe Conte, ex presidente del Consiglio, ha rischiato di finire nel registro degli indagati della Procura di Roma, travolto anche lui dalle torrenziali dichiarazioni dell'avvocato Piero Amara davanti alla Procura di Milano. Invece i veleni hanno lambito Conte solo marginalmente, e il fastidio peggiore per l'attuale leader dei 5 Stelle è stata la perquisizione del suo studio ad opera della Guardia di finanza: tenuta, peraltro, segreta fino a quando ieri il Domani ne parla in prima pagina. Ma se il guaio giudiziario sembra - almeno per ora - schivato, sull'ex premier si addensa una storia che comunque bella non è: anche perché arriva a poche settimane dalla rogna che ha investito il padre fondatore del Movimento, Beppe Grillo, indagato per traffico di influenze dalla Procura di Milano.

L'indagine che ha portato le «fiamme gialle» a bussare allo studio legale di Conte, come a quello del suo maestro Guido Alpa e di altri due professionisti, Enrico Carratozzolo e Giuseppina Ivone, nasce da uno dei primi interrogatori resi da Amara davanti al pm milanese Paolo Storari nell'inchiesta sul presunto complotto per sabotare il processo Eni. È Amara a spiegare a Storari che una serie di incarichi professionali a Conte e colleghi erano stati affidati dagli amministratori di Acqua Marcia, la società dei Caltagirone ammessa al concordato preventivo per evitare il fallimento. Si trattava, secondo Amara, di incarichi il cui vero obiettivo era condizionare la decisione del tribunale di Roma sul progetto di salvataggio di Acqua Marcia. Davanti alla gravità delle accuse, la Procura di Milano non può fare altro che prendere questo passaggio dei verbali di Amara e trasmetterle per competenza alla Procura di Roma. Qui il procuratore aggiunto Paolo Ielo, di fronte a una ipotesi di reato che poteva coinvolgere magistrati romani, manda tutto per competenza a Perugia, dove si indaga sui reati della giustizia della Capitale. Ma il vagabondare del fascicolo non è finito: a Perugia decidono che non c'è ombra di reati di magistrati, e rispediscono tutto a Roma. Dove infine approda sul tavolo di Maria Sabina Calabretta, pm specializzata in reati fallimentari. Se Conte, Alpa, Ivone e Carratozzolo sono stati pagati con fondi del concordato con dei secondi fini, questo ha impoverito illegalmente Acqua Marcia. Il fascicolo di indagine viene prudenzialmente aperto a carico di ignoti, ma con una ipotesi di reato precisa.

Ed è per capire davvero cosa è accaduto che la dottoressa Calabretta manda qualche settimana fa la Finanza a perquisire gli studi di Conte e degli altri, alla ricerca di documenti che confermino che il leader grillino ha in qualche modo lavorato davvero per il concordato preventivo di Acqua Marcia. L'oggetto dell'incarico a Conte sarebbe - secondo quanto riferito al Domani dal figlio di Caltagirone - la «ricognizione dei rapporti giuridici» di una società del gruppo: termine vago, ma che qualche traccia di attività concreta dovrebbe averla lasciata. A meno che, come sembra sostenere Amara, il vero incarico non fosse invece una sorta di lobbismo giudiziario.

I fatti, va detto, risalgono al 2012 e 2013, quando lo sbarco di Conte in politica era ancora lontano. Ma le perquisizioni sono recenti: e il renziano Michele Anzaldi, segretario della commissione di vigilanza sulla Rai, si domanda «perché il leader M5s non ha subito dichiarato in piena trasparenza di aver ricevuto l'ispezione della Finanza? Ha qualcosa da nascondere?». E il suo compagno di partito Ettore Rosato: se toccava a un altro «avremmo avuto trasmissioni tv, prime pagine dei giornali e Travaglio dare lezioni di moralità.

Siccome si chiama Giuseppe Conte la notizia resta nascosta per settimane».

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