Lo statuto del Pd si trasforma in un'arma letale nelle mani di Matteo Renzi per «normalizzare» il partito e ricattare il premier Paolo Gentiloni. Le primarie del 30 aprile hanno consegnato al rottamatore fiorentino il controllo assoluto dei democratici. Una condizione ideale per il neosegretario dei dem che potrà mettere in atto la fase due del piano: spazzare via gli avversari interni e portare il Paese al voto. L'assist per l'ex sindaco di Firenze arriva dallo Statuto dei democratici. L'articolo 21 fissa un limite di tre legislature per deputati e senatori. Se si considera che i renziani sono tutti alla prima esperienza parlamentare (Renzi non è mai stato eletto in Parlamento) il gioco è fatto: Renzi da segretario in carica potrà cancellare quel che resta del dissenso interno al Partito, applicando semplicemente lo Statuto.
Il primo della lista potrebbe essere Gentiloni: il presidente del Consiglio, se rifiuterà di appoggiare la corsa di Renzi verso il voto andando allo scontro, rischierà di dire addio anche alla sedia in Parlamento. Gentiloni è stato eletto per la prima volta nel maggio del 2001: il premier è alla quarta legislatura; statuto alla mano il capo del Governo per ritornare tra i banchi di Montecitorio ha bisogno di una deroga. Deroga che - secondo lo statuto - deve essere deliberata dalla Direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, su proposta motivata dell'Assemblea. Direzione nella quale Renzi ha la maggioranza assoluta. Quando Renzi deciderà di staccare la spina al Governo, accelerando verso le elezioni anticipate, Gentiloni si troverà a un bivio: andare allo scontro con il rottamatore o accontentarsi della rielezione in Parlamento. Renzi trova nell'agenzia di rating Standard & Poor's un altro alleato per il voto anticipato. Ieri l'agenzia ha confermato il rating BBB all'Italia, nonostante il giudizio sia il più basso fra i rating investment grade, ma non ha escluso il ritorno al voto prima della scadenza naturale della legislatura. «Anche se crediamo che le elezioni politiche probabilmente avranno luogo all'inizio del prossimo anno scrive in una nota S&P - non sottovalutiamo la possibilità di elezioni anticipate nella seconda metà del 2017». In questo quadro S&P ritiene che l'attuale governo «non possa probabilmente realizzare con risolutezza politiche economiche strutturali». Un'altra vittima del ricatto renziano è il ministro della Giustizia Andrea Orlando, sfidante (sconfitto) dall'ex premier alle ultime primarie: il ministro (alla terza legislatura) ha varcato per la prima volta la porta della Camera dei Deputati nel 2006. Il Guardasigilli che promette ferro e fuoco nel Pd sarà costretto a «elemosinare» una deroga per non abbandonare lo scranno a Montecitorio. Mentre gli orlandiani Vannino Chiti, Ugo Sposetti e Cesare difficilmente riusciranno ad evitare l'epurazione renziana. Nessuno dei tre ha più i requisiti per essere ricandidati nelle liste del Pd alle prossime elezioni politiche. Il limite delle tre legislature serve a Renzi non solo per soffocare gli avversari ma anche per regolare i conti con una parte della maggioranza che l'ha sostenuto alle primarie.
Il riferimento è al ministro Franceschini che come Gentiloni siede in Parlamento da quattro legislature: senza deroga renziana, addio alla poltrona parlamentare. Stessa sorte potrebbe toccare ai franceschiniani Roberta Pinotti, il ministro della Difesa è alla quarta legislatura, Giuseppe Fioroni ed Ermete Realacci: tutti in cerca di una deroga. Che difficilmente arriverà.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.