Gentiloni: "L'Italia è a rischio". Però non molla sullo ius soli

Il premier al Meeting di Cielle: non possiamo sentirci al riparo ma i diritti di chi è nato qui vanno riconosciuti

Gentiloni: "L'Italia è a rischio". Però non molla sullo ius soli

Paolo Gentiloni corregge il tiro. Non parla più di ius soli al popolo del Meeting. Qualcuno era il commento più frequente ieri a Rimini gli deve avere spiegato che quella è una materia divisiva persino qui. Quindi ieri il premier, nel primo vero e proprio bagno di folla del suo mandato, visibilmente emozionato, ha prima reso omaggio a Barcellona e alle vittime dell'attentato. «I terroristi non ci costringeranno a rinunciare alle nostre libertà, le difenderemo». Poi ha parlato da uomo d'ordine, contro chi contesta polizia ed esercito, ma anche a testa bassa contro i «sovranisti». Centrista, quasi da larghe intese. Alla ricerca di un consenso che la platea del Meeting gli ha riconosciuto, ma che non si è manifestato negli applausi fragorosi riservati in passato ad altri premier.

Pochissimi, ad esempio, quando ha detto che «Chi semina odio e facili illusioni non farà un buon raccolto in un contesto di lunga durata». Riferimento a chi parla di bloccare l'afflusso di immigrati. Impossibile, ha spiegato. Con questo fenomeno «bisognerà fare conti a lungo». Ad esempio, il Paese «non deve avere paura di riconoscere diritti e di chiedere rispetto dei doveri anche a chi in Italia è nato e studia nelle nostre scuole». Gentiloni, insomma, fa mezza marcia indietro e si schiera per il diritto di cittadinanza a chi ha perlomeno frequentato le scuole italiane. Concetto solo abbozzato nella intervista sullo ius soli.

È cosi, secondo il presidente del Consiglio, che si combatte la radicalizzazione e l'estremismo islamico. Per il resto, nessuna arrendevolezza. «Questo è il governo che fa rispettare le regole, come il codice di condotta delle Ong e che incomincia a vedere risultati». Su questa strada «si continuerà». È in sostanza una linea pro Minniti.

Uomo d'ordine anche sulle minacce terroristiche. «Non credo alla propaganda dei siti islamici, ma sono consapevole che nessun Paese, neanche l'Italia, possa sentirsi al riparo dalla minaccia». L'importante è che «da tutti venga il sostegno alle forze dell'ordine, all'intelligence, ai militari impegnati per garantire la sicurezza».

Un colpo alle uscite «irrealistiche» dei partiti di destra, ma anche a quelle della sinistra. Posizionamento centrista compatibile con la prospettiva post elezioni delle grandi intese, opzione che resta il tema non dichiarato del Meeting 2017.

Gentiloni ha confermato che la legge di Bilancio 2018 sarà il capitolo conclusivo della legislatura e del suo governo. Concessione al segretario Pd Matteo Renzi, che però a questo punto sembra scontato, visto che il braccio di ferro tra il Rottamatore e i suoi nemici si è spostato a dopo il voto.

Sarà una manovra dura, nel senso che sarà «selettiva», ha premesso Gentiloni. «Permetterà alcune limitate misure» incentrate soprattutto sull'accesso dei giovani al mondo del lavoro con «incentivi permanenti, stabili». Poi le politiche attive per il lavoro. Confermata, insomma, la decontribuzione e il voucher fino a 5 mila euro per 500 mila disoccupati. A rischio tutte le altre misure.

Nessun accenno a chi pagherà il conto della legge di Bilancio, che sarà sicuramente salato.

A voler essere malevoli, Gentiloni ha fatto un breve accenno alla «vergogna» di banchieri che guadagnano 185 milioni.

Alcuni, dentro la sua maggioranza e il suo partito, potrebbero interpretarlo come un appello alla patrimoniale. Da fare valere anche su cifre inferiori.

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