Cronache

Il ghetto dei braccianti distrutto dall'incendio Un morto nelle fiamme

Brucia baraccopoli in Calabria. Vittima uno dei tanti «fantasmi» sfruttati dai caporali

Il ghetto dei braccianti distrutto dall'incendio Un morto nelle fiamme

Ucciso dal fuoco, nel sonno. Nella terra di nessuno.

Aveva 28 anni, si chiamava Moussa Ba. È morto nella notte tra venerdì e sabato nella baraccopoli di San Ferdinando, profonda Calabria: la roulotte che gli faceva da tetto è stata divorata dalle fiamme, non lasciandogli scampo. In Italia il giovane era arrivato dal Senegal, su di un barcone, nel 2015. La commissione territoriale di Trapani gli aveva concesso protezione umanitaria, ma il suo permesso di soggiorno era scaduto nel Marzo del 2018. Impossibile rinnovarlo per «carenza della documentazione necessaria», spiegavano ieri in Questura, a Reggio Calabria.

In realtà, a pesare sul destino del ventottenne, anche il suo curriculum: noto alle forze dell'ordine per reati contro il patrimonio, false dichiarazioni sull'identità personale, interruzione di pubblico servizio e inottemperanza del foglio di via obbligatorio, il 31 dicembre scorso era stato arrestato per detenzione di stupefacenti su richiesta della Procura di Pisa. Il 16 Gennaio era stato scarcerato, con divieto di dimora nella cittadina toscana ma possibilità di ritornare nel campo sanferdinandese dove intanto si era trasferito, sbarcando il lunario come bracciante. Fino alla notte dell'orrore. Secondo gli inquirenti, il rogo si sarebbe sprigionato attorno alla mezzanotte, probabilmente nel tentativo di qualcuno di procurarsi un po' di calore. Si è quindi propagato tra copertoni e lamiere, fino a travolgere e carbonizzare Ba.

Una fine orribile, che però, se letta con gli occhi della cronaca, non sorprende. Nel cuore della piana di Gioia Tauro, ferita dalla crisi del porto, dove da sempre non si muove foglia che le ndrine non vogliano, da anni quel che resta dell'area industriale di San Ferdinando è occupato dai disperati. Secondo Amnesty International all'incirca 2.000, stretti in tuguri senza servizi igienici né luce né acqua. Gente che quando non è ancora l'alba viene accompagnata dai caporali a raccogliere ortaggi o arance, a seconda delle stagioni, e poi a sera torna ad affollare il ghetto. Ormai un cimitero: prima di Moussa Ba nella baraccopoli s'erano contate altre vittime. Becky Moses, ad esempio, aveva 26 anni, veniva dal Niger e dopo essersi vista rifiutare la richiesta di asilo politico, s'era spostata a San Ferdinando. E lì è morta, il 27 gennaio del 2018. Tra le fiamme. Come il diciottenne Jaiteh Suruwa, due mesi fa arso dal destino infame a poche ore dal suo trasferimento nello Sprar di Stilo.

Nessuno stupore, dunque. Anche perché tutti sanno. E tutti, nel tempo, hanno promesso. E mai mantenuto: allo stato sono solo impegni su carta il progetto ed i 300.000 euro assicurati dalla Regione Calabria per lo smantellamento della baraccopoli. Fermi pure chissà dove i 3 milioni di euro ritagliati tra i fondi europei del Piano di Azione Coesione per creare, nella vicina Rosarno, una rete di accoglienza abitativa e di inclusione sociale. Tanta roba, ma fin qui niente di niente e promesse di sgombero che, pure qualora osservate, difficilmente potrebbero rivelarsi risolutive.

Le baraccopoli sono tante, a sud di Roma. A Cassibile, in provincia di Siracusa, nel corso di un blitz anticaporalato i Carabinieri ne hanno trovate due in un colpo solo, una persino con tanto di moschea. E così a Vittoria, Campobello di Mazara, Caltanissetta, Paternò. O, per cambiare regione, a Borgo Mezzanone e Cerignola, in Puglia, ed a Caserta, Castel Volturno ed Eboli, in Campania. Migliaia di invisibili che occupano capannoni fatiscenti, camper sgangherati o vecchie case cedute in locazione a caro prezzo dalla gente del luogo. Perché non c'è cuore non c'è ragione, attorno al grande business dei migranti: soltanto affari.

E fuoco, e morte.

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