Adesso Luigi Di Maio non fa che invocare il ritorno alle urne. L'ultima spiaggia per salvarsi la faccia e per salvare l'onore del movimento, dopo le fregature prese con il Pd. Siamo, però, sicuri che i deputati eletti nelle liste dei Cinque stelle vogliano di nuovo sottomettersi al giudizio popolare? A ben vedere c'è chi direbbe no. Almeno stando alle dichiarazioni e ai comportamenti tenuti da alcuni di loro. Ovviamente non parliamo dei duri e puri. Quelli che non hanno nemmeno una colf pagata in nero. Parliamo di quelli eletti a Montecitorio o a Palazzo Madama pur se «epurati» dal Movimento.
A partire da Catello Vitiello il neo deputato grillino di Castellammare di Stabia, eletto all'uninominale con oltre il 46% di voti, che nel ricevere il primo stipendio da parlamentare ha cambiato idea sulla riduzione dei vitalizi sostenuta con forza da Beppe Grillo. E lo confessa apertamente alla cronista del Corriere della Sera. «Tredicimila euro al mese? Non male. Chi dice il contrario è in malafede». Più che le indennità, Vitiello ridurrebbe il numero dei parlamentari: «Sono veramente troppi». Però la sua posizione non ha più bisogno di essere in linea con quella del movimento. Infatti Vitiello è tra quei parlamentari che sono stati allontanati ancor prima del 4 marzo (ma con le liste ormai chiuse). Si tratta di una decina di parlamentari che sono entrati alla Camera e al Senato pur dovendo far a meno di sedere tra i banchi occupati dai grillini. Vitiello, nello specifico, è stato espulso perché non aveva confessato di essere iscritto a una loggia massonica. E per un avvocato penalista come lui una simile dimenticanza suona piuttosto sospetta e la cosa ha fatto infuriare Di Maio. Questi ex grillini, quindi, sanno già che se si ritornasse a votare perderebbero l'indennità parlamentare, il seggio, e tutto ciò che ne consegue. Perché di sicuro non verrebbero riaccolti nelle liste elettorali. Molti di loro sembravano pronti a fare un passo indietro alla vigilia del voto. Un beau geste che invece di allontanare gli elettori li ha convinti a scegliere il simbolo dei grillini. Solo che a urne chiuse ci hanno ripensato. Il passo indietro non l'ha fatto (ma solo annunciato) nemmeno il senatore Carlo Martelli, rimasto grillino anche se finito nel tritatutto mediatico della Rimborsopoli. Come non l'ha fatto Andrea Cecconi, che ora siede nei banchi del gruppo Misto di Montecitorio ma che sotto il simbolo delle Cinque Stelle ha battuto nel collegio di Pesaro nientemeno che il ministro degli Interni Marco Minniti. Un suo vicino di banco è il presidente del Potenza calcio (appena promosso in C) Salvatore Caiato, che a febbraio si è scoperto indagato a Siena per riciclaggio. Colpa questa che lo ha fatto allontanare dal Movimento.
Pure Antonio Tasso, eletto all'uninominale, ma dal 20 aprile iscritto al gruppo Misto (perché espulso dal movimento per una vecchia pendenza con la giustizia) non lo farà. Insomma questo gruppetto potrebbe divenire «responsabile» pur di evitare un voto che li lascerebbe di sicuro a casa e quindi senza indennità.
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