Coronavirus

Giallorossi più forti del virus: sbagliano ma non pagano

Giallorossi più forti del virus: sbagliano ma non pagano

In un angolo del Transatlantico un Renato Brunetta sconsolato, scuote la testa mentre dentro l' aula il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, tenta di difendere l' indifendibile per spiegare le rivolte nelle carceri italiane in piena epidemia. Una vicenda alquanto prevedibile visto che essere in gabbia mentre si rischia il contagio non può che mandare nel panico. L' unico che non si è posto il problema in anticipo è stato il Guardasigilli. Bilancio: 12 morti, a parte le evasioni. E Brunetta è spietato: «In tempi di guerra chi sbaglia con colpa sarebbe fucilato». Magari il plotone d' esecuzione in democrazia sarebbe esagerato, ma è ancora più assurdo verificare che in tempi bui come questi, che pure il premier paragona alla guerra, neppure di dimissioni si può parlare. Nell' imbarazzo generale. Con il Pd che non nasconde il proprio disagio e Maria Elena Boschi che, per non perdere la faccia, almeno chiede la cacciata del capo del Dap, cioè del dipartimento dell' amministrazione penitenziaria. «Chi sbaglia paga osserva - e in tempi normali dovrebbe dimettersi il ministro. Ma se si vuole salvare il ministro, allora bisogna dare un' altra testa».

Montecitorio al tempo del coronavirus sembra il Palazzo di Westminster sotto le bombe tedesche durante la seconda guerra mondiale. Ranghi ridotti, buvette chiusa e distributori di disinfettante, con le immancabili bottiglie di acqua minerale dappertutto. Anche i giornalisti latitano: il Messaggero di Roma, ad esempio, ha vietato ai suoi giornalisti di andare in Parlamento. E nell' atmosfera lugubre di un' aula semideserta arriva la notizia dal fronte del primo onorevole contagiato, il lodigiano Claudio Pedrazzini, proprio mentre a Palazzo Madama la presidente Elisabetta Casellati ordina il tampone a tappeto per tutti i senatori.

In questo scenario c' è, però, una differenza tra ciò che avviene negli altri Paesi e ciò che accade nell' Italia di oggi alle prese con l' epidemia venuta dalla Cina: chi sbaglia non paga. Non paga mai. Eppure l' elenco dei guai che il governo si è tirato addosso in questa crisi non sono pochi: la rocambolesca, tra stop and go, chiusura delle scuole; la decisione di allargare la zona rossa a tutta la Lombardia, con la notizia che esce fuori 24 ore prima che il decreto entri in vigore, dando vita da una fuga generale verso il Sud di potenziali contagiati (il governatore Michele Emiliano parla di 20mila arrivi in Puglia e il suo corrispettivo siciliano, Nello Musumeci, di altrettanti nell' isola); la mancata chiusura della Borsa di Milano nel lunedì nero; e, appunto, la rivolta nelle carceri. L' elenco potrebbe anche essere più lungo, ma il grillismo, quando è sul banco degli imputati, ha l' assoluzione facile e ha perso l' abitudine di chiedere dimissioni sempre e comunque. Eppure mai come in questa lotta contro un nemico invisibile, con bollettini di guerra che fanno paura (quello di ieri parla di più di 12mila contagi e di 827 morti), chi sbaglia dovrebbe pagare: Xi Jinping non ci pensò due volte a licenziare il segretario del partito della regione di Wuhan in piena epidemia. Sarebbe un monito per chi ha delle responsabilità in una battaglia per la sopravvivenza, ma anche un modo per rinsaldare un rapporto di fiducia con un' opinione pubblica sempre più disorientata, a cui vengono richiesti sacrifici ma a cui si danno, per ora, pochi risultati. Invece, nell' Italia giallorossa c' è sempre una ragione, un motivo che spinge a far finta di niente, a soprassedere perché nell' emergenza non ci si può dividere, non si può polemizzare, con il rischio, ben più fatale, di reiterare una, due, tre volte lo stesso errore. Ad esempio, sulla comunicazione: è dall' inizio di questa storia che tra sbagli e gaffe tutti sanno che non funziona. L' uscita della notizia della chiusura della Lombardia, equivale in una guerra alla divulgazione di un piano militare: roba da alto tradimento. E, invece, niente: tutti criticano in privato il portavoce del governo, Rocco Casalino, ma nessuno lo mette in discussione. C' è sempre un altro colpevole, un altro responsabile. «Il governo sostiene il ministro per i Rapporti con il Parlamento, il 5stelle Federico D' Incà non c' entra nulla. C' è semmai un problema, grosso come una casa, di gestione delle Regioni». Il ministro piddino, Francesco Boccia, preferisce invece parlar d' altro: «Stiamo facendo un lavoro difficile, in una situazione complicata». Scava, scava, però, il disappunto che c' è anche nella maggioranza viene a galla. «Come minimo osserva il piddino toscano, Umberto Buratti Conte avrebbe dovuto cambiare Casalino, aveva già fatto un casino sulla Libia». «Conte, Casalino, Bonafede sbotta Nico Stumpo di Liberi e Uguali sono tutti dello stesso segno e ognuno si tiene su appoggiandosi sull' altro». Stesso discorso vale, appunto, per Bonafede. Ieri gli unici che non lo hanno criticato sulla rivolta delle carceri sono stati i grillini. Anche il Pd non ha potuto chiudere tutti e due gli occhi. Il responsabile Giustizia, Walter Verini, nell' aula di Montecitorio non ha mancato di porre la questione: «Qualcosa non ha funzionato nella catena di comando. Ci sono stati dei vuoti. E bisognerà accertare le responsabilità per ritrovare autorevolezza». Per l' opposizione, Giorgio Mulè, ha paragonato Bonafede al «virus dell' incapacità». Fuori dall' aula gli sguardi, anche nella maggioranza, erano più duri delle parole. La piddina Enza Bruno Bossio, nera in volto, si è rifugiata in un «no comment». Stefano Fassina, quasi in un lamento, ha ammesso: «Almeno ci vorrebbero le dimissioni del capo del Dap». Sì, al massimo volerà la testa di Francesco Basentini, ma non è detto, perché la strana filosofia in voga in queste settimane prevede che nell' emergenza nessuno paghi mai. Né il premier ondivago, né chi a Milano ha dimenticato di disinfestare le strade. In questa situazione nessuno tenta di anticipare gli eventi, semmai è invalsa l' abitudine di inseguirli. Dopo la solita resistenza ieri sera, solo quando il contagio ha raggiunto quota 13mila persone, Conte ha accettato la richiesta del governatore della Lombardia Fontana di una stretta maggiore: questa volta per tutta la penisola. Non ha accettato però l' idea di un super commissario di esperienza per l' epidemia, ma solo quella di un commissario delegato: per lui non ce n' è bisogno, la macchina è perfetta e a sentire il nome di Guido Bertolaso gli viene l' orticaria.

In fondo che problemi ha: nell' Italia dell' emergenza, qualunque siano i risultati, nessuno deve rispondere delle proprie responsabilità.

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