Magistratura

Giletti spiato dai pm come un boss

Il giornalista controllato con i trojan. E il "Fatto" difende i magistrati: lo hanno tutelato

Giletti spiato dai pm come un boss

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I pm di Firenze a caccia di fantasmi spiano i giornalisti con i trojan, neanche fossero mafiosi o terroristi. L'attacco gravissimo alla libertà di stampa investe Massimo Giletti (foto) vittima inconsapevole di un'invasiva captazione per quattro mesi, senza essere neanche indagato, anzi da vittima di una possibile calunnia. Il Fatto anziché indignarsi difende i magistrati toscani che a suo dire sarebbero stati ben attenti a tutelare le fonti del giornalista televisivo, dimostrando la sottomissione del giornalismo voyeuristico e schiavo delle Procure ai principi deontologici.

La vicenda riguarda Non è l'Arena, cancellato a sorpresa da La7 prima di una puntata sui presunti rapporti tra Silvio Berlusconi e la mafia. Che cosa cercavano i pm? Le prove che l'ex manutengolo del boss Salvatore Baiardo, sodale dei fratelli Graviano e autore della presunta profezia sull'arresto imminente di Matteo Messina Denaro, stava calunniando Berlusconi e trascinando nel gorgo delle sue falsità anche il giornalista. Secondo la ricostruzione del Fatto, i pm di Firenze «decidono di intercettarlo quando ascoltano, il 17 gennaio 2023, Baiardo che gli dice: C'è una cosa che ti fa molto ma molto gola». Sono le famose tre foto sul lago d'Orta che ritrarrebbero il Cavaliere, Giuseppe Graviano e il generale dei carabinieri Francesco Delfino», foto che Giletti ha raccontato ai pm di aver visto fugacemente da lontano e solo nelle mani di Baiardo. Ma è proprio Baiardo a negarne ai pm l'esistenza e ad accusare Giletti di aver mentito.

Tra le persone intercettate potrebbe esserci persino Urbano Cairo, editore di La7 e Corriere della Sera? «I pm e il Gip hanno fatto il possibile ponendo limiti alla Dia per non trascrivere colloqui non rilevanti o con parlamentari e avvocati», sibila Lillo. È possibile che il trojan sia stato acceso e spento a piacimento, di fatto manipolando la bontà della captazione, come è già successo nel caso di Luca Palamara? O la separazione di ciò che era ascoltabile è stata fatta dopo? È lo stesso Lillo a ravanare nelle conversazioni private di Giletti, pubblicando virgolettati fuori contesto che restituiscono un'immagine di Giletti ben lontana dalla realtà, buona solo per suffragare l'ipotesi che piace a pm e Fatto. Cioè che il programma sia saltato perché la famiglia Berlusconi l'avrebbe imposto a Cairo, non perché la verità di Baiardo è strampalata e pericolosa. «Resta il senso di intrusione in una sfera che dovrebbe restare sacra: il rapporto con le fonti», si duole il cronista del Fatto. Lacrime di coccodrillo, come le battezza Enrico Costa di Azione: «Il Fatto si accorge che il trojan può essere disposto ad un non indagato ma si riprende subito dallo sgomento e pubblica un bel po' di dialoghi intercettati».

Giletti, contattato dal Giornale, non commenta. Chi lo conosce riferisce la sua amarezza per la vicenda, il dispiacere per il lavoro suo e dei suoi tanti collaboratori andato in fumo, la tristezza per il silenzio dei colleghi sulla sua professionalità distrutta. Come è stato possibile che un giudice abbia dato l'ok a una captazione così invasiva? «Impossibile senza il placet del bersaglio», commenta con il Giornale Pietro Pittalis (Forza Italia), che paragona la vicenda all'imprenditore taglieggiato che accetta di farsi intercettare per incastrare gli aguzzini. Ma mai Giletti, vittima di una velenosa macchinazione, avrebbe accettato di farsi intercettare.

Il solo sospetto rischia di demolirne credibilità e reputazione, proprio alla vigilia del suo ritorno alla Rai. A chi giova questo linciaggio?

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