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Il giovane erede del sultano che ama Italia, soldi e potere

Bilal, secondogenito di Erdogan, ha studiato a Bologna ma è tornato a Istanbul dopo l'accusa di riciclaggio

Il giovane erede del sultano che ama Italia, soldi e potere

Discrezione. Understatement. Studio e vita blindata, con la moglie e i due figli. Fino ai primi di marzo, quando Bilal Erdogan, il trentacinquenne figlio minore del presidente turco Recep Tayyp Erdogan, ha deciso di lasciare Bologna e di tornare ad Istanbul. Ormai, la sua presenza in Italia costituiva un problema: a febbraio la procura del capoluogo emiliano aveva aperto un'inchiesta per riciclaggio su soffiata dell'opposizione turca e cosi Erdogan junior ha interrotto il dottorato in studi europei alla Johns Hopkins, la prestigiosa università presente anche sotto le Due Torri. «Cari amici - è stato il suo commiato inviato con un sms in inglese - abbiamo deciso di tornare ad Istanbul».

Ora, in una ruvida intervista a Lucia Goracci di Rai News, Erdogan senior fa la voce grossa: «Se mio figlio ritornerà in Italia sarà arrestato perché c'è un'inchiesta su di lui a Bologna e non se ne conosce il motivo, l'Italia dovrebbe occuparsi della mafia, non di mio figlio». In realtà la ragione dell'indagine è stranota: Bilal è accusato di riciclaggio sulla base di dichiarazioni peraltro controverse, di Murat Hakan Huzan, imprenditore scappato in Francia.

È lui a denunciare il rampollo raccontando una storia che l'avvocato Giovanni Trombini, legale di Erdogan, riassume così: «Huzan sostiene che Erdogan avrebbe portato con se in Italia una valigia di denaro proveniente dalla tangentopoli turca». Siamo nell'autunno dell'anno scorso e la Turchia vive un momento difficile e problematico, fra spinte e controspinte. A giugno, il partito del Sultano ha perso la maggioranza e Erdogan ha dovuto assistere all'ingresso dei curdi in Parlamento. Secondo l'account Twitter antigovernativo Fuat Avn, Bilal avrebbe organizzato il viaggio, col tesoro al seguito, nell'ambito di un presunto «progetto di fuga». Insomma, gli Erdogan, consapevoli di giocare una partita difficilissima nel tentativo di trasformare la Turchia in una repubblica presidenziale, di più modellata sul Sultano, avrebbero cercato di coprirsi le spalle spostando fondi all'estero.

Difficile distinguere la fiction dalla realtà. L'indagine, a quel che si sa, non ha prodotto risultati apprezzabili e infatti i pm hanno chiesto una proroga che è stata accordata dal gip, nonostante l'opposizione di Trombini. Comunque per Bilal il clima si era fatto pesante e a marzo, forse temendo iniziative clamorose da parte della magistratura, il giovane ha spedito l'sms agli amici, offrendo la più classica delle spiegazioni: «La nostra sicurezza a Bologna è diventata una questione molto delicata, sia per il governo italiano sia per quello turco». In effetti, la famiglia viveva scortata da agenti italiani e da guardie del corpo turche. Forse quell'apparato troppo vistoso era diventato un peso e cosi Erdogan junior ha pensato bene di anticipare eventuali sorprese a lui sgradite. Interrompendo, almeno per il momento, la sua formazione, avvenuta negli Stati Uniti, con una tappa prestigiosissima ad Harvard, e proseguita alla Johns Hopkins di Bologna.

Come si capisce, Bilal non è mai stato un personaggio da rotocalco: niente a che vedere con gli eccessi e l'esuberanza, per intenderci, dei figli di Gheddafi. Basta pensare alle giravolte e alle comparsate calcistiche del panchinaro Saadi, passato dal Perugia di Luciano Gaucci, dove nel 2003 giocò una sola partita, contro la Juventus, all'Udinese e alla Sampdoria dove riuscì nella non facile impresa di non entrare mai in campo. Quella di Bilal è un'altra storia, meno pittoresca, ma basata su elementi molto concreti: il potere e i soldi. E sospetti che aleggiano da anni, con intercettazioni che rimbalzano sui media e difficili inchieste, ancora in corso, della magistratura di Ankara. In una telefonata, il padre intima al figlio di «sbarazzarsi di tutti i soldi a casa». In un'altra conversazione, si fa riferimento a 10 milioni di dollari che la stampa accredita come possibile mazzetta per la costruzione di un gasdotto. A novembre, poi, il ministro siriano dell'informazione aveva puntato il dito contro Bilal, affermando che il petrolio contrabbandato da Daesh viene trasportato su cisterne di proprietà del figlio del Sultano.

Recep Erdogan ha sempre respinto con sdegno tutte le contestazioni, ma è diventato ancora più arrogante dopo il controgolpe dei giorni scorsi.

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