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Il giudice vuole vederci chiaro: Conte & C. chiamati in tribunale

Il premier testimonierà con ministri ed ex. Il nodo: accertare se lo stop allo sbarco fu una scelta collegiale

Il giudice vuole vederci chiaro: Conte & C. chiamati in tribunale

Anche questa volta si potrebbe dire: il diavolo ha fatto le pentole ma non i coperchi. Perché i tre giudici, tutti di Magistratura Democratica, che nel gennaio 2019 costrinsero la Procura di Catania a portare Matteo Salvini sul banco degli imputati, potrebbero avere innescato un pasticcio che va esattamente nella direzione contraria a quella cui loro puntavano. Infatti il pasticcio è approvato sul tavolo di un magistrato che sembra deciso davvero a vederci chiaro, senza accontentarsi di mettere in croce il solo Salvini. Il giudice preliminare Nunzio Sarpietro ieri decide di portare sul banco dei testimoni il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il suo ex vice, Luigi Di Maio. E insieme a loro gli ex ministri dei Trasporti e della Difesa, Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta, nonché l'attuale ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese. È una decisione che ha un solo significato: esplorare le dinamiche interne al consiglio dei ministri all'epoca del governo Conte 1, quando la nave Gregoretti venne bloccata in porto; capire se la scelta fu solo del ministro Salvini o un passo conosciuto e condiviso dall'intero governo.

È esattamente il contrario del risultato che avevano in mente Nicola La Mantia, Sandra Levanti e Paola Corsa, i tre componenti del tribunale dei ministri catanese che all'inizio dello scorso anno respinse la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura del fascicolo per sequestro di persona a carico di Salvini. Per i tre giudici, Salvini doveva essere processato: lui e solo lui. Lo stesso tribunale infatti archiviò la posizione di Conte, Di Maio e Toninelli. Benché facessero parte dello stesso governo del leader leghista, loro della «linea dura» contro gli sbarchi non sapevano niente.

Possibile? No, evidentemente, secondo il giudice che ieri decide di convocarli per il prossimo 20 novembre e 4 dicembre, prima di decidere la sorte di Salvini. E anche se il premier Conte ostenta serenità, («Riferirò tutte le circostanze di cui sono a conoscenza, in piena trasparenza come ho sempre fatto e come sempre farò») la decisione del giudice di chiamarlo a deporre insieme ai suoi ministri ed ex ministri apre un fronte delicato, dove dettagli tecnici e giuridici si trasformano in questioni politiche assai ingombranti. Perché se saltasse fuori che anche i grillini condivisero la linea dura, dovrebbero oggi spiegare come mai si apprestano a fare retromarcia in compagnia dei loro nuovi alleati del Pd.

Il dettaglio giuridico destinato a diventare elemento politico ha un numero preciso: articolo 210, la norma che regola gli interrogatori di chi non è un semplice testimone dei fatti, ma è indagato o è stato indagato in un procedimento collegato. Per Conte, Di Maio & C. venire convocati in questa veste cambierebbe molto: sarebbero assistiti da un avvocato, non avrebbero l'obbligo di rispondere, potrebbero persino mentire. Dal punto di vista dell'immagine, però, apparirebbero in aula non come testimoni di giustizia ma come una sorta di complici che l'hanno fatta franca.

Nel dispositivo pronunciato ieri dal giudice in conclusione dell'udienza, dell'articolo 210 non si fa cenno. Testimoni semplici, dunque: almeno per ora, perché nei giorni che separano dal 20 novembre, il giudice o la Procura potrebbero cambiare idea. E invitare premier, ministri ed ex ministri a portare con sé un avvocato di fiducia, pronto a entrare in aula se - come è accaduto in casi analoghi e potrebbe accadere anche stavolta - nel corso degli interrogatori emergessero fatti che coinvolgono anche loro. In quel caso l'interrogatorio dovrebbe venire subito sospeso, per riprendere nella nuova veste e alla presenza del difensore.

E in quell'istante la tesi difensiva di Salvini, il blocco della Gregoretti come atto politico condiviso dall'intero governo, uscirebbe trionfante.

Per non parlare dello scenario, questo sì inatteso, che potrebbe aprire l'interrogatorio della Lamorgese: chiamata a spiegare se e cosa sia cambiato nella lotta agli scafisti da quando ha preso lei il posto di Salvini.

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