Mondo

Giustizia per Regeni. A processo quattro 007 accusati di averlo rapito

L'udienza sarà il 14 ottobre. Un egiziano imputato anche di averlo torturato e ucciso

Giustizia per Regeni. A processo quattro 007 accusati di averlo rapito

Una luce in fondo al tunnel cinque anni dopo quella sera del 25 gennaio 2016. Giulio Regeni venne rapito e torturato e il suo corpo martoriato fu trovato nove giorni dopo, lungo la strada che collega Alessandria a Il Cairo. Ora, dopo quelle torture che portarono il ricercatore alla morte, c'è una data da cui ripartire per ottenere giustizia: è il 14 ottobre. Davanti alla Terza Corte d'Assise di Roma, si aprirà il processo. Il gip Pierluigi Balestrieri ha rinviato a giudizio il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest'ultimo anche di lesioni personali aggravate e omicidio. Si tratta degli ufficiali della sicurezza egiziana che rapirono e torturarono il ricercatore. L'inchiesta del procuratore capo Michele Prestipino e del pm Sergio Colaiocco ha attraversato enormi difficoltà fatte di depistaggi, rogatorie rimaste senza risposta e ostacoli all'apparenza insormontabili. Tra le altre difficoltà anche l'impossibilità di eleggere il domicilio dei quattro indagati che dunque sono rimasti irreperibili. Ma oggi si riparte da un punto fermo: Giulio Regeni ha subito per giorni sevizie e torture prima di morire a causa delle lesioni riportate. Ora a dirlo è la ricostruzione contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini. Nero su bianco che fa venire i brividi, che riapre la ferita mai rimarginata dei famigliari, per la mamma Paola e il padre Claudio, che da anni implorano giustizia per il figlio. «I genitori di Giulio dicono sempre che su di lui sono stati violati tutti i diritti umani - è il commento di Alessandra Ballerini, legale di Claudio e Paola Regeni, mentre insieme a loro lascia il tribunale capitolino -. Oggi finalmente abbiamo una verità processuale e la fondata speranza che almeno il diritto alla verità non sarà tra i diritti inviolabili che sono stati lesi su Giulio. Ci abbiamo messo 64 mesi, ma è un buon traguardo e un buon punto di partenza». Il gup Pierluigi Balestrieri ha respinto l'eccezione presentata dalle difese, sull'irreperibilità e la mancata notifica agli imputati, dei quali le autorità egiziane non hanno mai fornito gli indirizzi utili a dare notizia degli atti del processo. Gli indagati avrebbero sottoposto il ragazzo a numerose sevizie «Per motivi abietti e futili ed abusando dei loro poteri con crudeltà». «Ci sono altri 13 soggetti nel circuito degli indagati dice l'avvocato dei Regeni ma la mancata risposta ai nostri quesiti da parte delle autorità egiziane ci ha impedito di proseguire negli accertamenti». Certo, nessuno si illude che a questo punto la partita diventi facile. Il processo rappresenterà una «nuova sfida» dice il pm, nell'ottenere che tutti i testimoni, soprattutto gli egiziani, vengano in Italia a riferire quanto già detto nel corso delle indagini. Secondo la ricostruzione della procura di Roma, il ricercatore era attenzionato da polizia e servizi segreti già settimane prima del rapimento. Le analisi sui tabulati hanno messo in luce i numerosi contatti telefonici tra gli agenti che si erano occupati di tenere sotto controllo Giulio tra dicembre 2015 e gennaio 2016, e gli ufficiali dei servizi segreti coinvolti nella sparatoria con una presunta banda di criminali uccisi nel marzo 2016 a cui gli egiziani provarono ad attribuire l'omicidio.

La procura di Roma è convinta che Giulio sia stato torturato e ucciso dopo esser stato segnalato come spia alla National Security dal sindacalista degli ambulanti, Mohammed Abdallah, con il quale era entrato in contatto per i suoi studi.

Commenti