A quasi un anno dall'insediamento del governo gialloverde, mentre all'orizzonte si profilano i timori di tagli lacrime e sangue e gli incubi su ipotetiche patrimoniali, il giudizio di Michelangelo Agrusti, presidente di Unindustria Pordenone, è impietoso: «Non solo il Paese non è andato avanti, ma è tornato indietro».
Eppure, le ultime stime vedono l'Italia in uscita dalla recessione tecnica e di nuovo in crescita: la Commissione Ue stima per fine anno un aumento del Pil dello 0,1%, l'Istat addirittura dello 0,3%, un dato che per quanto inferiore rispetto alle previsioni di novembre (+1,3%) è comunque superiore alla stima inserita dal governo nel Def (+0,2%)
«Le prospettive di crescita sono labili e non possono in alcun modo essere ritenute tranquillizzanti. Basta che oggi, ad esempio, l'economia tedesca rallenti o nascano problemi dopo la Brexit per riportare l'Italia in recessione».
Si parla sempre più spesso di un prossimo aumento dell'aliquota Iva ordinaria al 25,2% nel 2020 e al 26,5% nel 2021 a causa dell'innesco delle clausole di salvaguardia. Le ultime stime di Confesercenti parlano, in questo caso, di un costo in mancati consumi da parte delle famiglie italiane di 8 miliardi all'anno e di 9mila negozi a rischio di chiusura. Cosa ne pensa?
«Sarebbe un disastro perché frenerebbe la ripresa del mercato interno. Non possiamo continuare a contare solo sulla forza trainante dell'export del made in Italy che per noi di Unindustria Pordenone rappresenta ormai quasi il 60% della nostra produzione. Se il governo non punta a riattivare la domanda interna rischiamo di risentire solo dell'andamento delle economie degli altri partner commerciali a iniziare dalla Germania».
Cosa rimprovera alle politche economiche di governo fin qui attuate?
«Sono tre i principali problemi che attanagliano il Paese e mi lasciano sconfortato in vista delle sue prospettive future: il mancato sblocco dei cantieri, l'assenza di investimenti seri e programmati sul fronte delle infrastrutture e una mancanza di investimenti pesanti nell'istruzione e nella formazione del capitale umano in particolar modo nelle discipline tecnico scientifiche, quelle dove si riscontrala maggior richiesta di personale nelle aziende. Viviamo in un Paese disattento alle esigenze delle imprese e questo è un problema enorme che rischia di far retrocedere la seconda industria manifatturiera europea, quale è la nostra, nelle retrovie. Rimango sconcertato dalla assoluta mancanza di consapevolezza che il governo ha su questi fronti».
In questo scenario, quali sono, a suo giudizio, le manovre a cui il governo dovrebbe pensare per rimettere in moto la domanda interna e accrescere la competitività del Paese?
«Le imprese da parte loro investono tanto nell'innovazione di processo e di prodotto a partire dalla trasformazione digitale. Quello che continua a mancare è un piano serio e credibile di investimenti pubblici capaci di modernizzare il paese. Per fare un esempio, inaugureremo a Pordenone un grande interporto, un terminal ferroviario intermodale tecnologicamente evoluto, il prossimo 30 maggio. L'idea alla base del progetto è di rendere la logistica del territorio una leva fondamentale nello sviluppo delle imprese con l'intento di dar spinta alla loro competitività. Ma se poi una simile infrastruttura rimane scollegata dalle altre principali arterie del Paese prima e dell'Europa poi, è evidente che si tratta di un investimento non pienamente sfruttato».
A pochi giorni dalle Europee, quali sono i provvedimenti che auspica siano presi dalle forze politiche che risulteranno vincitrici?
«Dobbiamo tornare in Europa con la coscienza che l'Italia è tra i
Paesi fondatori e portare avanti istanze per noi indispensabili per tornare a crescere, ad esempio gli investimenti in infrastrutture dovrebbero essere slegati dai parametri del rapporto deficit/Pil imposti dall'Unione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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