Governo lento pure nelle ore più drammatiche

In attesa di capire come sia davvero andata la gestione del lockdown, perfino la maggioranza di governo vola basso e non si immola nel tentativo di fare da scudo a Conte

Governo lento pure nelle ore più drammatiche

In attesa di capire come sia davvero andata la gestione del lockdown, perfino la maggioranza di governo vola basso e non si immola nel tentativo di fare da scudo a Conte. Con un'eccezione: Roberto Speranza. In quanto responsabile della Salute è uno dei pochi ministri che è stato davvero coinvolto nelle decisioni nei giorni di cesarismo del premier, quando Conte governava a colpi di editti. Sarà per questo che tenta di giustificare acriticamente quella gestione opaca. Il risultato è un forte stridore da arrampicata sugli specchi. Il giorno che Palazzo Chigi è stato costretto a rendere pubblici cinque dei cento verbali redatti finora dal Comitato tecnico scientifico, Speranza si è vantato dicendo che la pubblicazione avveniva in ossequio «al valore della trasparenza a cui noi non rinunciamo». Peccato che nelle settimane precedenti, pur di evitare di pubblicare quei verbali, Palazzo Chigi avesse opposto un diniego amministrativo (attraverso la Protezione civile), una costituzione di parte al Tar e un ricorso al Consiglio di Stato. Non propro un inno alla trasparenza. Speranza ci è ricascato ieri con un'intervista al Corriere della Sera in cui sostiene che nella fase in cui si decise di non fare le zone rosse, in particolare quelle di Alzano e Nembro, non esista alcun vuoto decisionale tra il 3 e il 10 marzo. Il Corriere ricostruisce così i fatti, attribuendo la spiegazione a Speranza: «Il 4 marzo ricevo il verbale del Cts, che mi arriva sempre il giorno dopo. Il 5 avviso Conte e chiediamo un approfondimento a Brusaferro. Il 6 il premier vede il Cts e lì matura il cambio di linea».

Cioè: nelle ore convulse in cui pareva che l'intero Paese fosse concentrato su un solo compito, la lotta al virus, in cui ogni altra istituzione politica veniva congelata per demandare l'intero potere all'esecutivo, i nostri ministri facevano una sola cosa decisiva al giorno: un giorno si produce il parere, poi con calma un messo a cavallo lo porta al ministero il giorno dopo, il giorno seguente il ministro si reca con la missiva dal premier, il quale si prende un giorno di riflessione prima di chiamare l'autore del parere. O è falso, e c'è da sperare che Speranza non stia mentendo al Paese, o forse è il caso di rivedere un po' la tempistica delle comunicazioni interne al governo.

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