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Il governo non regge più: ko alla Camera sulla giustizia

La maggioranza va sotto sull'emendamento garantista alla riforma penale. Fi: "I manettari ci ripensano?"

Il governo non regge più: ko alla Camera sulla giustizia

Sempre elegante, sorridente, ben pettinato, Giuseppe Conte ci prova a dare di sé all'estero l'immagine di un capo di governo. Spiega alla Commissione che non c'è nessun bisogno di aprire la procedura d'infrazione per debito eccessivo. «I conti pubblici migliorano, abbiamo fiducia nelle nostre politiche». Prova a inserirsi nel super risiko delle nomine: «Vogliamo un portafoglio economico». Dice la sua sul futuro presidente Ue, «mi piacerebbe una donna», quando gli altri leader hanno già virato verso la tedesca Ursula von der Leyen. Ma all'improvviso basta una dichiarazione di Matteo Salvini dalla Calabria per far franare il tentativo di spacciarsi per statista e premier saldo sulla sua poltrona: «Non possono decidere tutto Merkel e Macron». E il governo è sempre più in bilico. Infatti nel pomeriggio alla Camera la maggioranza va sotto sulla riforma del codice penale.

Scrutinio segreto, applausi, cento assenti tra Lega e M5s, due voti di margine. Passa un emendamento garantista presentato da Enrico Costa, Forza Italia, e appoggiato dal Pd, che consente anche a chi si avvale durante gli interrogatori della facoltà di non rispondere di poter poi chiedere, una volta assolto, il risarcimento per ingiusta detenzione. A determinare l'esito una pattuglia di franchi tiratori. «Hanno vinto la civiltà e il buon senso - commenta Giorgio Mulè, Fi - Che ci siano sprazzi di ripensamento tra i manettari?». E il capogruppo del Pd, Graziano Delrio: «La maggioranza non c'è più». E anche il leader azzurro Silvio Berlusconi, da Strasburgo, scuote la testa: è un fatto gravissimo.

Un colpo per il giustizialismo grillino. Una mina sulla stabilità dell'esecutivo, che si aggiunge agli scontri tra Lega e M5s sulle sorti dell'Ilva e sulla revoca della concessione alla società Autostrade.

Luigi Di Maio è pure in difficoltà all'interno del movimento. Certo, nemmeno Salvini, nonostante la crescita nei sondaggi dopo il caso Sea Watch, ha il vento nelle vele.

L'altra sera ha dovuto accettare il taglio di un miliardo e mezzo alle leggi di spesa deciso dal Consiglio dei ministri, un provvedimento in extremis per provare a evitare guai con Bruxelles. Dopo settimane di annunci e propaganda, Quota cento è stata ridimensionata e la flat tax è finita in freezer. Luigi Di Maio, che ha subito una riduzione del dedito di cittadinanza, almeno ha avuto la furbizia di disertare la riunione sull'assestamento del bilancio per «impegni privati» e così ha evitato di metterci la faccia. Salvini invece se ne è andato a Consiglio in corso, parecchio nervoso. I due leader della coalizione si sono comunque lasciati mani libere: sull'aggiustamento dei conti non c'è la loro firma. Chissà, magari sarà utile in futuro. Intanto nell'immediato il ministro dell'Interno si esibisce in un qualcosa che gli riesce bene, l'attacco a Francia e Germania, come sistema di distrazione di massa. «Il futuro europeo - afferma - non può essere deciso a tavolino solo da Parigi e Berlino. Anche questa mattina ci siamo alzati con un'ipotesi di spartizione, Commissione ai francesi e Bce ai tedeschi.

Ma nella Ue ci sono 28 Stati, non due».

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