Una collezione di figuracce così in politica estera non si era mai vista, o quasi. Il premier Renzi tentenna quando non tace. Dall'intervento in Libia all'odissea dei marò fino al caso di Giulio Regeni, il ricercatore universitario torturato e assassinato in Egitto. Le autorità del Cairo si prendono gioco dell'Italia e sono riuscite e sciorinare una serie di versioni sull'omicidio che definiremmo comiche se non si trattasse di una tragedia. L'ultima polpetta che ci hanno servito sul piatto è quella della banda di criminali esperta in rapimenti di cittadini stranieri. La procura di Roma, che indaga sul delitto, ha più volte sottolineato la scarsa collaborazione degli inquirenti egiziani e i tentativi maldestri di depistaggio. Ma per il nostro governo va tutto bene, l'Egitto è un Paese amico, come d'altronde lo è l'India, che dopo quattro anni tiene ancora in ostaggio i nostri militari. Adesso le autorità giudiziarie egiziane puntano sulla pista criminale. La gang di presunti rapitori di Regeni è stata sgominata. Peccato che nessuno possa parlare perché i cinque banditi sono stati tutti uccisi in uno scontro a fuoco con la polizia. Per completare l'opera, la polizia ha arrestato per favoreggiamento anche tre parenti del capobanda, Tarek Abdel Fatah, tra i quali la moglie e la sorella. Durante l'interrogatorio, però, hanno negato che la gang abbia ucciso Regeni, quindi anche in questo caso la versione delle autorità egiziane non regge. La moglie del capobanda, infatti, avrebbe affermato che il marito sarebbe entrato in possesso dello zainetto con alcuni effetti personali di Regeni, tra cui il passaporto, solo da cinque giorni e che la borsa non fosse del ricercatore italiano. Poco importa, la procura egiziana ha comunque deciso di unire l'inchiesta sulla banda di rapitori a quella dell'omicidio Regeni. Non si capisce a quale scopo. Ma il nostro governo non fa un plissè. La nostra magistratura però non molla e ha deciso di approfondire la vicenda degli effetti personali di Regeni finiti in mano ai familiari del presunto capobanda di rapitori. Il 5 aprile il procuratore capo Giuseppe Pignatone assieme al sostituto Sergio Colaiocco incontreranno a Roma gli inquirenti egiziani e quello sarà il giorno del chiarimento, sempre che la polizia del Cairo non arrivi con un'altra, nuova svolta investigativa. Inevitabile l'ondata di polemiche nel mondo politico italiano. «L'ultima versione offerta dalle autorità egiziane è non solo priva di ogni credibilità, ma è un'offesa ha detto Alfredo D'Attorre, deputato di Sinistra Italiana - La reazione del governo italiano appare burocratica e inadeguata». Anche dal partito di Renzi si alzano i primi mugugni, «Il governo egiziano si decida a collaborare. Verità chiara e completa sull'assassinio di Giulio Regeni, non ricostruzioni inverosimili», ha dichiarato la vicesegretaria del Pd, Debora Serracchiani. Anche il governatore toscano Enrico Rossi non risparmia critiche, definendo «una vergognosa menzogna quella ci è stata proposta. Il governo può dire e fare qualcosa di più?». Bordate anche dai Cinque Stelle. «Ministro Paolo Gentiloni che dici? Ti degni di venire in Parlamento per dirci due parole su Regeni? Senza fare il democristiano possibilmente», ha twittato Alessandro Di Battista, membro del direttorio M5S. «È evidente che ci è stata rifilata l'ennesima presa in giro - ha detto dal canto suo l'eurodeputata di Fi, Lara Comi - Non possiamo restare inermi di fronte a questo quadro desolante».
Il premier Renzi come sempre non ha perso l'occasione per tacere e ha proclamato: «L'Italia non si accontenterà di nessuna verità di comodo. Non ci servirà a restituire Giulio alla sua vita. Ma lo dobbiamo a quella famiglia. E, se mi permettete, lo dobbiamo a tutti noi e alla nostra dignità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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