Uno sta, con molti mal di pancia, in maggioranza. L'altro sta, con moderazione, all'opposizione. Insieme, di fronte alla fuga dalle responsabilità del premier Conte e all'impotenza del Pd, sembrano essersi messi (da ex premier) alla testa del «partito del Mes», una sorta di governo ombra del ritorno alla realtà.
Silvio Berlusconi ha parlato ieri con il Corriere della Sera; Matteo Renzi con la Repubblica. «Interviste allo specchio», le ha definite un titolo di Huffington Post: toni differenti, divergenze su molti punti, ma anche alcune solide sintonie. A cominciare appunto dall'urgenza di attivare la linea di credito del Mes: «Assolutamente - dice Berlusconi - chiedo al Presidente Conte di portare la questione a una determinazione parlamentare al più presto possibile». Forza Italia darebbe il suo appoggio all'attivazione, ma «il voto sul Mes è soltanto un voto sul Mes, non è un voto di fiducia al governo né l'atto di nascita di una maggioranza diversa. Non ha alcun significato politico nazionale, questo deve essere chiaro», precisa il Cavaliere.
L'ex leader del Pd è ancora più netto, ed evoca uno scenario fosco: «Non saranno Zingaretti o Renzi a imporre il Mes, lo farà la realtà - dice - In autunno la crisi sarà tale che i soldi del Salva stati s'imporranno da soli. Del resto se lei ha un mutuo di 30 anni, da 1000 euro al mese, e gliene offrono uno da 15 anni a 500 euro, rifiuterebbe?».
Entrambi sanno di avere a che fare con l'insensatezza della maggiore forza parlamentare, quella grillina, che fa muro contro il Mes per ragioni strampalate: i Cinque Stelle sono convinti di aver trovato nel Recovery Fund l'albero degli zecchini di Pinocchio, e sono ansiosi di mettere le mani su quel fiume di soldi, che sognano di poter usare come par loro. Peccato che un altro ex premier che oggi siede ai vertici della Commissione europea, ossia Paolo Gentiloni, li abbia avvertiti che il Paese dei balocchi non esiste: quei soldi arriveranno tra più di un anno, e a fronte di un serio e preciso programma di riforme che nessuno, nel governo, ha ancora idea di come stilare. E altri due autorevoli ex inquilini di Palazzo Chigi, Romano Prodi e Enrico Letta, sono scesi in campo anche loro a tirare per l'attillata giacchetta il premier in carica, invitandolo ad affrontare la realtà.
Perché l'azzimato Conte, tornato tutto giulivo da Bruxelles, rischia di ritrovarsi a breve senza una lira in cassa. Dal ministero dell'Economia cercano di fargli capire che non può continuare a baloccarsi con i suoi ogni di gloria: il paese più indebitato del mondo non può continuare a fare debito come se non ci fosse un domani. I mercati potrebbero stufarsi, e sarebbero guai tragici: dire no a un finanziamento a tasso zero come il Mes è folle. «Rifiutare i soldi del Salva stati significa esprimere un no aprioristico all'Europa. Chi glielo va a spiegare ai tedeschi che l'Italia accetta i soldi dell'Unione solo a fondo perduto? Per quale ragione la Bce dovrebbe sottoscrivere tutti i titoli di Stato che non acquistano gli investitori?», erano gli inquietanti interrogativi che il viceministro dell'Economia Baretta (Pd) affidava ieri alla Stampa.
E così, con Renzi e Berlusconi alla testa, il partito degli ex premier si è messo in moto per tentare la difficile impresa di far ragionare il loro successore, e di spingerlo a trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà, e non solo Dibba e la Taverna. Il Mes va preso, e in fretta, o l'Italia finirà molto male.
E ora qualche vaghissimo indizio di intelligenza umana pare fare capolino perfino nelle file grilline: il sottosegretario al Lavoro Di Piazza dice di «non escludere l'utilizzo del Mes», a patto che «non ci siano condizioni capestro».
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