Servono tamponi a tappeto, costi quel che costi. Il messaggio arriva senza sconti da Andrea Crisanti, professore di microbiologia e virologia all'università di Padova. Andrebbe quindi invertita la rotta della fase due (cioè quella in cui si è cominciato a effettuare il test coronavirus solo sui soggetti con i sintomi). E bisognerebbe tornare a sottoporre al tampone tutti, anche i soggetti asintomatici che hanno avuto contatti con persone contagiate. Questo, secondo il virologo, l'unico modo per contenere l'epidemia che ormai è andata oltre i limiti del gestibile. «C'è poco tempo - spiega - Dobbiamo fare tamponi di massa, a cominciare dalle zone focolaio».
Se all'inizio dell'emergenza il sistema tamponi funzionava, pur costringendo i ricercatori dell'ospedale Sacco di Milano, a stare in piedi tutta la notte, ora il meccanismo scricchiola. Le richieste sono troppe, arrivano tutte in una volta, e la situazione potrebbe diventare più complicata se dovessero aumentare ancora, con i tamponi a tutti. Il destino dei tre laboratori di virologia della Lombardia dal 20 febbraio ad oggi è lo stesso degli altri 29 centri di analisi seminati nelle altre regioni, incaricati di gestire le analisi coronavirus. E la mole di lavoro è enorme per tutti.
Tuttavia il meccanismo tamponi sembra non riuscire a sopportare un sovraccarico. Già oggi ci sono alcune zone totalmente scoperte dai test. In particolar modo nelle Residenze per anziani, dove sono deceduti parecchi pazienti positivi all'infezione. Il personale non solo fa a meno di mascherine e guanti in attesa che arrivino le nuove scorte, ma aspetta un tampone per interi giorni (che trascorre lavorando e rischiando di contagiare altri pazienti fragili). Eppure infermieri, assistenti sanitari e medici in corsia - essendo i più esposti - avrebbero diritto al test anche quando non presentano sintomi sospetti. Il problema si sta presentando in particolar modo in quelle Rsa, come la Sant'Erasmo di Legnano che, essendo gestite da una fondazione, non possono rivolgersi all'Ats per far effettuare il test a medici e infermieri ma devono provvedere da sole, acquistando i tamponi. Spesso introvabili. La Regione Lombardia annuncia di aver rafforzato il piano di analisi: ha acquistato 1,8 milioni di nuovi tamponi e attivato 9 laboratori in grado di effettuare le verifiche rapidamente.
Un problema analogo è quello che stanno vivendo i medici di famiglia. Chiedono tamponi per i loro pazienti rinchiusi in casa con i sintomi, si offrono di andare di persona a effettuare il controllo, ma non ricevono riscontri. «Ormai la sintomatologia deve essere grave perché venga concesso un tampone, bisogna almeno che il paziente abbia una polmonite - spiega Paola Pedrini, segretario di Fimmg, la federazione dei medici di famiglia - Eppure serve controllare tutto il territorio. Per questo abbiamo scritto una lettera all'assessore lombardo al Welfare Giulio Gallera e al suo staff per chiedere un intervento e fare in modo che si possano fare i tamponi a domicilio». E se è vero che il costo potrebbe essere alto (un tampone costa 30 euro), è altrettanto vero che un letto in terapia intensiva costa 3.500 euro al giorno.
Al momento tuttavia sui meccanismi di rilevazione delle positività non sembrano esserci inversioni di rotta ufficiali.
«È stata adottata l'indicazione di usare il tampone solo sulle persone sintomatiche - spiega il presidente dell'Istituto superiore della sanità Silvio Brusaferro -. Altre politiche non sono state esaminate. Ci sono esperienze a livello internazionale e sviluppi tecnologici che verranno valutati e potranno essere presi in considerazione in futuro».
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