Il Senato non riapre prima del 10 gennaio e con un'agenda di tutto riposo («Seguito dell'indagine conoscitiva sulla nuova disciplina sui contratti pubblici»), il calendario della Camera riparte un po' prima, il 4, ma con un appuntamento di semplice formalità post-natalizia: «Comunicazioni del presidente» (cioè la Boldrini). Insomma il rientro dalle ferie non sarà traumatico per la politica, che si prepara ad un mese di stand-by in attesa di martedì 24, la fatidica data in cui la Consulta darà il verdetto sull'Italicum. Dal parere dei giudici costituzionali (bocciatura senza appello, oppure solo parziale, o un meno probabile via libera alla nuova legge elettorale valida solo per la Camera) dipendono le prossime mosse dei partiti e anche il destino della legislatura, con Renzi che preme per votare a giugno, senza apparente ostacolo nel governo («il voto non è una minaccia» dice il premier Gentiloni). Tutto rimandato, quindi, al 24 gennaio. Prima di allora si preannunciano molte chiacchiere sulla riforma elettorale, tra chi punta al Mattarellum e chi al proporzionale. Pura melina però, perché la partita si giocherà soltanto dopo la sentenza della Corte costituzionale.
Un asse inedito Pd-M5s-Fi ha infatti congelato in commissione Affari costituzionali alla Camera il dibattito sulla legge elettorale, in attesa appunto della Consulta. Che tiene appeso il Parlamento anche su due altri fronti. Primo, un altro verdetto, atteso per l'11 gennaio, sull'ammissibilità dei tre referendum abrogativi sul Jobs Act proposti dalla Cgil e sottoscritti da 3 milioni di italiani. Scenario che avrebbe ripercussioni sul voto anticipato, perché il segretario Pd vuole scongiurare il rischio di una seconda débâcle referendaria. I rumors di Palazzo però scommettono sul via libera ai due referendum «minori» (abolizione dei voucher e la tutela dei lavoratori negli appalti), ma invece un orientamento negativo della Consulta sulla richiesta di votare sulla reintroduzione dell'articolo 18, il cuore politico della riforma del lavoro del governo Renzi. E c'è sempre la Consulta al centro di un altro appuntamento di gennaio. Il Parlamento è convocato, ancora l'11 gennaio, per eleggere un nuovo giudice della Corte costituzionale in sostituzione del giurista Giuseppe Frigo, che a novembre si è dimesso per motivi di salute. Per i primi scrutini è richiesta la maggioranza dei due terzi, un quorum particolarmente elevato. Difficile si trovi un nome condiviso in fretta. Significa che il collegio della Corte che deciderà sull'Italicum sarà composto da 14 giudici, invece che da 15. Aritmetica non indifferente visto che nei pareri della Consulta basta la metà più uno dei voti, e quello del presidente in caso di spaccatura vale doppio.
Per il resto, giacciono nelle commissioni parlamentari i provvedimenti su cannabis, testamento biologico, concorrenza, processo penale, anche quelli in attesa di «scongelamento» quando il verdetto della Consulta renderà più chiaro l'orizzonte. Oltre al bla bla sul destino dell'Italicum, ci sono da sistemare delle poltrone. Con la nomina a ministro di Valeria Fedeli, ex vicepresidente del Senato, si libera la poltrona del numero due di Palazzo Madama.
E oltre a quella è vacante la carica di presidente della commissione Affari costituzionali del Senato (era della Finocchiaro, promossa ministro). La poltrona è ambita in vista della riforma della legge elettorale (che è incardinata in quella commissione). La rivendicano i verdinani ma anche la minoranza Pd.
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