La grande bugia

Introiti mancati da accise gonfiati, costo per le merci e velocità dei treni assente. Ecco le falle del dossier anti Tav

La grande bugia

Roma - «Utilizzare un singolo metodo di valutazione e distorcerlo a favore della scelta presa in precedenza è scorretto e scandaloso». Andrea Giuricin, professore associato di Economia dei trasporti all'Università di Milano Bicocca, è convinto che la politica abbia evitato di assumersi una propria responsabilità nascondendosi dietro le cifre. Ma ci sono alcuni bug nell'intero impianto della relazione pubblicata ieri che si possono evidenziare.

IL «FATTORE T»

«Fare un'analisi costi-benefici su un'opera così duratura nel tempo», spiega Giuricin, ha un'efficacia limitata perché «le considerazioni sono in gran parte basate sui valori attuali che vengono proiettati sull'orizzonte di durata dell'opera» che si può stimare in 100-150 anni. Ma in questo periodo «il progresso tecnologico è difficilmente calcolabile». Ad esempio, le perdite stimate in termini di minor gettito delle accise e dei pedaggi autostradali con il ricorso alla ferrovia potrebbero non essere tali se la mobilità su gomma si spostasse tutta sull'elettrico, «a meno che non si inventi una tassa sull'elettricità».

IL PESO DELLE ACCISE

I minori introiti per lo Stato sono cifrati in media a 1,6 miliardi di euro, ma - come osservato dal professor Massimo Tavoni del Politecnico di Milano - non c'è univocità sull'adozione di questo parametro come «esternalità negativa» o costo di un'opera pubblica. In ogni caso, ha osservato Tavoni, «correggendo per le accise, il valore attuale netto si dimezza e se si fa lo stesso anche per i pedaggi, diventa positivo».

L'INQUINAMENTO

Secondo i dati dell'Epa, agenzia Ue per la protezione dell'ambiente, nel comparto del trasporto merci i camion emettono 10 volte più anidride carbonica rispetto ai treni. «A questo - osserva Giuricin - bisogna aggiungere che l'incidentalità è 36 volte più bassa». Ammesso che le accise siano un costo, argomenta, «bisogna fare una scelta politica accettando un'eventuale perdita perché le vite umane sono più importanti dell'introito del pedaggio» e perché una strategia positiva è «un network europeo che funziona bene con treni lunghi e pesanti».

LE SOTTOSTIME

«Le scelte politiche sono distorte dalla scelta di un singolo metodo di analisi che, probabilmente, non è il migliore e danneggia l'ambiente», aggiunge Giuricin rilevando come nel dossier non si utilizzi il parametro del costo per chilometro dei treni. Probabilmente, si intuisce, ne evidenzierebbe la competitività. Anche Tavoni aveva evidenziato come apparissero sottostimati sia i benefici della minor congestione stradale che del minor tempo per trasportare le merci.

IL METODO ALTERNATIVO

Tra i metodi di valutazione citati da Giuricin c'è quello comunemente definito «costo del non fare». Si basa sull'impatto economico dell'opera sulla catena del valore. Sebbene anch'esso parziale, fornisce una prospettiva differente. All'uopo si può citare lo studio del gruppo Clas firmato da Lanfranco Senn e Roberto Zucchetti della Bocconi. La Tav Torino-Lione apporterebbe 10,6 miliardi di valore aggiunto ripartiti tra 3,6 di cantiere, 3,7 tra aziende e fornitori e 3,2 tra salari, nuova forza lavoro e giro d'affari. L'infrastruttura creerebbe 52mila posti di lavoro (il 76% nel comparto edile) e nel periodo 2020-2028 Dal 2020 al 2028, a fronte di una spesa annua di 350 milioni per i lavori, genererebbe un aumento di Pil annuo di 1,32 miliardi con un saldo positivo di 970 milioni. Si tratta dei dati che il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha citato come condizione sufficiente per non fermare la Tav.

IL DANNO REPUTAZIONALE

«C'è un elemento

reputazionale - conclude Giuricin - derivante non solo dal pagamento delle penali, ma anche dall'impatto economico sui player che non investirebbero più in Italia per l'inaffidabilità dei governi: vale qualche miliardo».

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