Dal camper al treno, ma fosse solo il mezzo di trasporto ad essere cambiato nel frattempo. Sono passati cinque anni e Renzi ripropone il rituale (o il road show, strategia di marketing) del tour nazionale, «niente discorsi e comizi ma un incontro con le realtà vive dell'Italia, portando le nostre idee ma pronti all'ascolto, curiosi e appassionati più di sempre» scrive il segretario Pd nella sua tipica prosa tra Baricco e Obama all'italiana, annunciando, a mo' di capostazione, che «a ottobre parte il treno», quindi forza piddini coi suggerimenti sulle fermate dell'intercity renziano. Il format è lo stesso, lo spirito non proprio.
Il confronto tra il Renzi rottamatore delle primarie 2012, promessa della nuova politica, e il Renzi suonato dalle sconfitte (il referendum, le amministrative) ma tornato al vecchio ménage politico dopo aver promesso di lasciarlo in caso di bocciatura, stona con l'euforia del nuovo tour «nel nostro meraviglioso Paese». Velocissimo a scalare il potere da sindaco di provincia a premier, Renzi sembra invecchiato con la stessa prodigiosa rapidità: da astro nascente a «rieccolo!», in un battibaleno, bruciato dall'ipertrofia. I sondaggi sulla sua popolarità non sono stai mai così bassi. Se nel 2014 appena arrivato a Palazzo Chigi viaggiava sul 60% di consensi, ora siamo al 23% (secondo Index Research), solo due punti sopra un novizio come Luigi Di Maio, venti punti sotto Paolo Gentiloni, che era stato un suo ministro, e neppure una prima scelta (sostituì la Mogherini promossa alla Ue). Renzi superato da un renziano della seconda ora, uno smacco.
Nelle ultime apparizioni in giro, tra feste dell'Unità e presentazioni del libro, dove una volta si manifestava come una star da ascoltare con attenzione, Renzi arriva come un politico tra gli altri, anche se con uno suo zoccolo duro di fan (è pur sempre il leader di uno dei maggiori partiti italiani). Pochi selfie alla Versiliana, niente folle adoranti nelle tappe del suo Avanti!, che già a fine luglio - notava La Stampa - era stato messo in saldo del 15% dalla Feltrinelli, una promozione estiva, mentre il sito Bergamonews calcolava cinicamente che «in sette librerie di Bergamo, che avevano una disponibilità totale di più di un centinaio di copie, ne sono state vendute meno di 50». Già, come va il libro? I dati della Nielsen davano une vendita settimanale, a luglio subito dopo l'uscita tra i 5-8mila copie, mentre nell'ultima settimana di agosto monitorata siamo al 1700 copie in sette giorni, al terzo posto nella classifica delle saggistica. A spanne, dovremmo essere sulle 40-50mila copie, una cifra ragguardevole per un libro di un politico (gli altri si fermano a numeri molto più bassi), ma forse non il successo di popolo che Renzi e Feltrinelli si attendevano, con il libro delle verità a lungo attese, iper-pubblicizzato con le anticipazioni, uscito in piena estate tra festival culturali e le feste Pd.
Anche il sistema di monitoraggio di Google sulle ricerche web (Google Trends) su «Renzi», registra un traffico ai minimi storici. Poca gente lo cerca su internet. L'effetto déjà-vu dell'ex innovatore della politica nazionale è confermato dalle ultime apparizioni televisive. Anche qui, se una volta Renzi faceva impennare lo share, nell'ultima prima serata (da Mentana su La7) ha convinto il telecomando solo di 713mila persone, share del 3,82%, pochino.
C'è da lavorare sulla comunicazione per ritrovare lo smalto perduto, non a caso Renzi ha richiamato l'addetto stampa del periodo della rottamazione, il fiorentino Agnoletti. Tutti sul treno, con la speranza che fermi di nuovo a Palazzo Chigi.
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