Tre mesi fa, il centro per la sicurezza sanitaria dell'università americana Johns Hopkins, aveva simulato quello che sta accadendo realmente: l'arrivo di una pandemia. Un virus, moderatamente mite, moderatamente letale ancora sconosciuto, senza possibilità di cura, nessun vaccino per proteggersi. Come il coronavirus, i primi casi sottovalutati, il tempo che passa e il vantaggio regalato al virus che intanto silenzioso dilaga, si diffonde a macchia d'olio, inesorabile.
Una simulazione per dimostrare che il mondo non è ancora pronto a reagire a difendersi dalle pandemie, per mettere in guardia le autorità che senza un piano preventivo non si va avanti. Oggi, a tre mesi di distanza, quell'esercitazione teorica con analogie così forti rispetto alla realtà fa ancora più riflettere. E fa paura.
Nella finzione, un nuovo virus si sta diffondendo velocemente in tutto il mondo. L'agente infettivo, simile alla Sars, progettato in un laboratorio in Svizzera da un gruppo terroristico, si trasmette da persona a persona principalmente tossendo. I primi focolai a Francoforte, in Germania, e in Sud America, a Caracas, Venezuela. Le truppe americane di stanza all'estero sono già state contagiate. Un caso anche in un campus universitario accende un focolario negli Stati Uniti. È pandemia. Non esistono vaccini, parte una corsa contro il tempo che non c'è. Una simulazione realizzata con veri funzionari del governo degli Stati Uniti per capire come potremmo reagire, quali strumenti avremmo per difenderci. Allora la risposta non era stata delle più positive e l'esercitazione aveva mostrato tutti i lati scoperti del nostro sistema globale. Il virus sottovalutato all'inizio era riuscito a espandersi in tutto il mondo, con effetti nefasti anche sull'economia globale. Come per il coronavirus partito dalla Cina, anche nella finzione, il virus aveva un periodo di incubazione breve, e dunque più difficile da isolare per poter trovare un vaccino. Come nella simulazione, anche nella realtà, la malattia nei primi quattordici giorni di incubazione non mostra i suoi sintomi, eppure è altamente contagiosa. Inquietanti similitudini che mostrano il lato scoperto di un sistema che si mostra quanto mai incapace di reagire, di proteggersi. La lezione dalla Johns Hopkins era piuttosto chiara: non siamo per nulla preparati. «Una volta che sei nel mezzo di una grave pandemia, le tue opzioni sono molto limitate», afferma Eric Toner, uno studioso senior presso il Center for Health Security della Johns Hopkins University. «La miglior risorsa è la pre-pianificazione». La finta pandemia seguita anche dalla Casa Bianca e basata su proiezioni realistiche per l'incapacità di sviluppare un vaccino entro i primi venti mesi aveva provocato virtualmente 150 milioni di morti a livello globale, il 2 per cento della popolazione.
Con il coronavirus non sappiamo ancora come andrà a finire. Non è la prima simulazione dal centro Johns Hopkins, che lavora per preparare le comunità a minacce biologiche, pandemie e altri disastri, studi che vengono presi molto sul serio, dalla Casa Bianca che ad esempio, dopo una di queste esercitazioni ha deciso di comprare dosi di vaccino per la popolazione contro il vaiolo. Ieri lo stesso ateneo ha messo in rete un nuovo sistema per il monitoraggio dei contagi.
Il coronavirus si sta diffondendo rapidamente, e le case farmaceutiche stanno lavorando giorno e notte per tentare un rimedio.
La rivista scientifica Lancet ha riportato la storia di un ragazzino in Cina, senza sintomi che ha infettato il suo intero nucleo famigliare. Un virus che è stato largamente sottovalutato. Prima di dichiarare l'emergenza, le autorità cinesi hanno lasciato partire cinque milioni di persone. Che nel frattempo hanno potuto viaggiare ovunque e indisturbate.
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