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"È grave se il governo è stato preso in giro"

Il sottosegretario azzurro alla Difesa: "Ho chiesto spiegazioni a Leonardo: mai avute"

"È grave se il governo è stato preso in giro"

Si sente preso in giro sottosegretario Mulè?

«Il problema non è se è stato preso in giro Giorgio Mulè - risponde il sottosegretario alla Difesa - ma se in questa vicenda della vendita delle armi alla Colombia sono stati presi in giro il governo e le istituzioni. E se salterà fuori che c'è stata una qualsiasi connivenza tra pezzi di Leonardo e questa struttura parallela che agiva in nome dell'azienda saremo davanti a una realtà che va ben oltre la presa in giro».

Lei qualche settimana fa aveva chiesto spiegazioni a Leonardo. Le ha ricevute?

«No. So però che è in corso un audit interno svolto da una autorità indipendente che sta scavando a fondo, e i cui risultati verranno resi noti sia all'azienda sia alla commissione Difesa della Camera che al governo. Il fatto stesso che sia partito un audit interno è la prova che di aspetti da chiarire ce ne sono».

Qual è il principale? Il motivo per cui qualcuno ha pensato di aprire una seconda trattativa con la Colombia mentre era in corso quella ufficiale?

«No, il punto principale è se sono state seguite le precise e rigorose regole interne di Leonardo sull'approccio con mediatori esterni. Se salterà fuori che queste regole non sono state rispettate andrà capito dove e perché si è creato l'infarto, il corto circuito interno. Perché un dato è certo, il secondo canale di trattativa, quello che ruota intorno a Massimo D'Alema e a Robert Allen, era operativo: ci sono le mail, le brochure, gli incontri».

Se verrà confermato, come in realtà appare già chiaro, che qualcuno dentro Leonardo ha dato il via alla trattativa parallela, si potrà dire che le procedure interne sono state rispettate?

«Evidentemente no».

E se invece l'intervento del gruppo di D'Alema fosse stata una truffa all'italiana, se si fossero messi di mezzo per cercare di vendere qualcosa che non possedevano?

«Questo lo accerterà l'indagine della Procura di Napoli, su cui mi guardo bene dall'esprimermi. A me interessa capire cosa sia accaduto all'interno di Leonardo, perché parliamo di una azienda che per triplici motivi è al top nelle esigenze di regolarità: perché è quotata in Borsa, perché è controllata dallo Stato e perché in questa vicenda opera in un mercato come quello delle armi normato da una legge molto chiara, la 185».

Cosa le dà più fastidio in questa vicenda?

«Diciamo che sento molta amarezza nel leggere degli atteggiamenti dal tono assertivo di D'Alema nelle sue conversazioni, quando con i suoi interlocutori mette in cattiva luce gli stessi dirigenti di Leonardo. Questo mi dà fastidio dal punto di vista istituzionale e per la posizione che ricopro».

Magari a Leonardo erano preoccupati per il buon esito della trattativa ufficiale, quella governativa, e hanno pensato di raddoppiare. C'erano intoppi in vista?

«Nessun intoppo. Tutto procedeva nel migliore dei modi, al punto che era prevista una mia visita in Colombia alla fine di febbraio per mettere i paletti intorno ad un accordo che interessava vari settori della Difesa ma era mirata in particolare alla fornitura dei caccia 346 di Leonardo.

No, non c'era alcun bisogno di un secondo canale».

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