Greta e Vanessa libere La famiglia: «Una gioia»

Dopo una lunga trattativa la situazione si è sbloccata sabato. Le ragazze in arrivo in Italia

Greta e Vanessa libere La famiglia: «Una gioia»

Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, le due volontarie italiane rapite lo scorso 31 luglio in Siria tornano a casa. Ad annunciarne liberazione ed imminente rimpatrio con un messaggio alla Camera ci pensa ieri sera il ministro delle riforme, Maria Elena Boschi. Quel ritorno ci costa però assai caro.

A dar retta ai tweet lanciati dai gruppi ribelli, evidentemente orgogliosi delle proprie capacità di ricatto ed estorsione, la liberazione delle due «cooperanti» ci sarebbe costata 12 milioni di dollari, equivalenti al cambio corrente a circa dieci milioni di euro. Nonostante il prezzo l'Italia non può che esser contenta. Contenta per la salvezza di due giovani donne. Contenta per la capacità dimostrata ancora una volta dalla nostra intelligence di risolvere un caso complesso.

Contenta perché la vita dei cittadini continua a contare più della ragion di stato. Messe in chiaro queste doverose banalità restano da chiarire tutte le ambiguità di un caso per cui l'Italia ha dovuto sborsare una somma spropositata contribuendo involontariamente a finanziare quei gruppi del terrore che minacciano la nostra incolumità, attirano fanatici dal Vecchi Continente e ce li restituiscono pronti a colpirci al cuore.

Questo perché il viaggio Greta e Ramelli nel cuore dell'orrore siriano non inizia anni fa, quando molti ancora s'illudono che da quelle parti si combatta una democratica battaglia contro la tirannia di Bashar Assad. Lo sconclusionato viaggio, alla cui organizzazione partecipa il giornalista de Il Foglio Daniele Raineri, inizia a metà di quest'estate quando Italia e mondo intero hanno avuto tutto il tempo di prender coscienza dell'orrore rappresentato dall'Isis e dagli altri gruppi jihadisti siriani macchiatisi quotidianamente di atrocità e violazioni dei più elementari diritti umani. Ma non solo.

Quel viaggio sconsiderato arriva dopo almeno altri tre episodi in cui giornalisti e cooperanti italiani si sono ritrovati ostaggi dei gruppi ribelli a cui s'erano affidati. Se l'inesperienza e la fragilità emotiva di due ragazzine non bastava a valutare l'azzardo di un gesto umanitario ambiguo e inutile il raziocinio e le conoscenze di chi, più adulto e navigato di loro, collaborava alla trasferta avrebbe dovuto contribuire se non a fermarle a metterle almeno in guardia. Quanto alle modalità della liberazione va detto che anche qui restano molti dubbi. Il principale è la comparsa sulla scena dei terroristi alqaidisti di Jabat Al Nusra presentatisi a rivendicare il rapimento solo il 31 dicembre.

Quel giorno un video delle due ragazze, registrato 14 giorni prima, fa intendere che delle improvvise difficoltà rendono impossibile un rilascio già concordato dalla nostra intelligence grazie alla mediazione di quella turca. Un ritardo dovuto alla decisione del gruppo alqaidista di mettere le mani sull'affare sovrapponendosi al gruppuscolo, a metà tra il delinquenziale e l'insurrezionale, responsabile del sequestro iniziale. L'imprevista entrata in scena di Al Nusra ci è costato, probabilmente, un bella iniezione suppletiva di denaro destinata a soddisfare le pretese del gruppo al qaidista. L'altra annotazione, non priva di rilevanza politica, riguarda l'ambiguo ruolo della Turchia. Ankara oltre ad offrire santuari e armi a tutti i gruppi jihadisti coinvolti negli orrori siriani è anche la madrina dei malfattori con cui poi tratta, sotto altre vesti e per conto dell'Occidente, la liberazione degli ostaggi.

Un'ambiguità su cui il premier Matteo Renzi sorvola agilmente durante il vertice dello scorso 11 dicembre con il presidente Recep Tayyip Erdogan. Un vertice servito probabilmente, anche a suggellare implicitamente gli accordi tra intelligence per la liberazione di Greta e Vanessa. Accordi ambigui, ma in virtù dei quali il nostro governo sarà probabilmente obbligato anche a indirizzare dei sentiti ringraziamenti alle autorità di turche.

Le stesse che da quattro anni continuano a non vedere i volontari

italiani ed europei che atterrano ad Istanbul e da lì procedono verso i confini della Siria per unirsi alle unità jihadiste combattenti e trasformarsi, al momento del rientro in Europa, in potenziali e micidiali terroristi.

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