Greta si fa arrestare (anche) in Norvegia. Stavolta per difendere i pascoli delle renne

La Thunberg si unisce agli indigeni Sami contro il parco eolico di Fosen

Greta si fa arrestare (anche) in Norvegia. Stavolta per difendere i pascoli delle renne

Si è fatta spostare anche dai poliziotti norvegesi. Segnalata, rimossa, fermata ufficialmente e rilasciata dopo poche ore. Come in Germania. Ormai abbiamo imparato a conoscerla: Greta Thunberg si «fionda» ovunque un ideale la chiami. D'altra parte ha vent'anni: l'età in cui l'impossibile è ancora una sfida. Stavolta la causa «collaterale» era anche accattivante perché andava in difesa dei pascoli delle renne. E chi non sta dalla parte delle renne, da Babbo Natale in giù?

La motivazione «primaria», invece, era il parco eolico di Fosen, nel Nord-Ovest della Norvegia. Domenica notte Greta si è unita alla protesta (pare anche sacrosanta) degli indigeni Sami che su quelle terre erano abituati, appunto, a pascolare il loro bestiame. Un rapporto storicamente simbiotico quello tra gli indigeni e l'animale (sin dalla notte dei tempi ci ricavavano pelli per le tende in cui abitavano e per gli abiti, carne, bevande, ossa e corna da trasformare in attrezzi). Beh, tornando ai giorni nostri: protesta sacrosanta si diceva, perché per impedire l'installazione di queste pale eoliche i Sami hanno ingaggiato una lunga battaglia legale contro lo stato norvegese che si è conclusa nel 2021 con la loro vittoria, ma ancora adesso le turbine rimangono in piedi. Per questo Greta è corsa lì, a dar man forte ai tredici attivisti che occupavano il ministero delle politiche energetiche a Oslo da giovedì scorso. E come arriva lei arrivano i fotografi, le telecamere, l'attenzione mediatica. È la Ferragni delle cause ambientaliste. Il richiamo per giovani più efficace che esista. Sciarpa, guanti, cappello e megafono. Il «mestiere» da impegnata le danza ormai sulle labbra: «Ci si potrebbe chiedere chi stia commettendo il vero crimine. La colpevolezza della Norvegia in relazione alla crisi climatica e alle violazioni dei diritti umani dei Sami non può essere sottovalutata» ha dichiarato l'attivista all'emittente televisiva Nrk accorsa davanti al capannello di dimostranti. Greta non era l'unico volto noto, a sostenere il gruppo anche l'attrice indigena Ella Marie Hætta Isaksen, protagonista del film Let the river flow che racconta di una protesta dei Sami contro lo stato norvegese degli anni '70. L'attrice ha postato molti video durante l'occupazione tra cui quello dell'intervento della polizia in cui insieme agli altri attivisti è stata portata in caserma per diverse ore, per poi essere rilasciata (infatti le proteste dei Sami sono riprese già ieri mattina). Un fermo come una medaglia quello di Greta (e presumibilmente anche quello dell'attrice norvegese), che l'ultima volta aveva impegnato la polizia tedesca. Allora, era stata portata via per braccia e gambe da tre agenti in tenuta antisommossa: lì si trattava di difendere il paesino tedesco di Lützerath contro l'espansione della miniera di carbone di Garzweiler, nello stato tedesco del Nord Reno-Westfalia. Anche quella volta Greta si era precipitata, malgrado nei mesi precedenti avesse promesso di ritirarsi, di appendere il megafono al chiodo e di passare agli altri l'onere della «causa». Il doloroso annuncio aveva seguito le sorti di tutto ciò che Greta tocca: era diventato globale.

Gran clamore da parte dell'opinione pubblica, grandi ipotesi sul futuro della ventenne che aveva deciso di cambiare modo e posa. E invece... Capannelli, megafono e strali a secchiate. Tremino i cattivi della Terra perché Greta, evidentemente, è tornata. Anzi, non se n'è mai andata.

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